(1995, Hong Kong, 98')
Oggi a Singapore la Bugis Street degli anni ‘70 (periodo in cui Bugis Street di Yonfan è ambientato) è tutt’al più un ricordo. La zona è stata riqualificata ed è tornata alla morale; non vi risuonano più le risate provocanti, le voci nervose dei transessuali e dei travestiti come quando era l’allegra Sodoma e Gomorra del quartiere a luci rosse di Singapore.
In Bugis Street ha sede il Sin Sin Hotel, costo del soggiorno 3 dollari, quartier generale di sfavillanti transessuali che vi portano i loro amanti: gente del luogo o marinai americani.
Finzionale ma con aspetti di cinéma-vérité, il bel film di Yonfan lancia uno sguardo partecipe sul microcosmo dei trans. Il loro incrocio di storie è unificato dalla presenza ‘ingenua’ di Lian, ragazzina arrivata dalla Malesia per lavorare come cameriera che resta letteralmente scioccata quando si accorge che queste “lei” sono dei “lui”; ma di qui parte uno sviluppo, un dialogo su di sé, riflesso nelle sue lettere (reali o immaginarie?) all’amica Maria.
È un film sul tempo che passa, dove l’agitazione febbrile si tinge di malinconia, anche per la precarietà della vita di queste figure che realizzano la costruzione di un immaginario – non per nulla il film ha in epigrafe il “To be or not to be” shakespeariano – e dove la presenza dell’amore diventa drammatica. Tuttavia c’è, in questi personaggi memorabili, una resistenza, una forza, che giustifica l’espressione finale dell’albergo di Bugis Street come metafora della vita.
Il maestro cinese Yonfan a Venezia per il restauro del suo cult