Illusioni perdute

Tizza Covi e Rainer Frimmel raccontano Vera
di Fabio Marzari
  • giovedì, 1 settembre 2022

La coppia di registi Sud-tirolese/viennese racconta una storia border line, oltre le periferie più lontane che rendono la Città Eterna più distante di un miraggio. Un mondo sospeso tra un passato pieno di luci e un presente con molte ombre, tra finzione che sembra vita reale e personaggi assai credibili nella visione immaginata attraverso la scrittura cinematografica.

Il vostro film, storia di finzione resa come fosse un documentario, racconta una vicenda credibile che diviene una sorta di illusione perduta, l’eterna lotta tra il bene e il male, in cui però alla fine tutti sono sconfitti. Se doveste riassumere in poche battute il vostro lavoro, come lo raccontereste?
Così è riassunto perfettamente – alla fine sono tutti sconfitti. Ad ogni modo, proviamo a guardare più da vicino la questione del bene e del male: da una parte abbiamo Daniel, che non riesce a uscire dal suo stato di povertà e il cui più grande sogno è di evitare lo stesso destino per suo figlio, dall’altra parte c’è Vera, che cerca amore e comprensione indipendentemente dalla ricchezza materiale e dalla classe sociale. Nel nostro film cerchiamo di capire in che modo queste due vite così diverse possano combinarsi.

Perché avete scelto Vera Gemma? Cosa ha rappresentato per voi questa persona così fragile e così diversa da come appare. Cosa vi ha colpito al punto da farne la protagonista assoluta del vostro lavoro?
Vera è brutalmente onesta con sé stessa e col mondo, conosce la durezza della vita in tutte le sue forme, ha una bella voce e ha, per le sue molte contraddizioni, una personalità assai intrigante. Dopo aver guardato al di là della facciata ci si è aperto un mondo. Il fatto che una persona sia così diversa da come appare è una qualità essenziale per un’attrice protagonista perché non deve essere facile capire e catturare tutto fin dall’inizio, così da non perdere il suo fascino.

VERA

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Roma di sfondo appare una città talvolta kitsch, certo inospitale, tranne che per le rassicuranti vie di Trastevere, in cui pare esista un ordine che altrove è sconvolto dal degrado. La città sembra spesso una matrigna cattiva che fagocita ogni idea di bello. Come siete riusciti a tenere sempre acceso il faro sui diversi personaggi senza cadere nel facile inganno degli stereotipi della bellezza di contorno a contrastare il degrado anche morale?
Nei nostri film, il ruolo dell’ambiente è quello di aiutare a capire meglio la recitazione. Tutti i nostri personaggi sono interpretati da attori che vivono negli stessi quartieri. Parlano, camminano e si comportano allo stesso modo di chiunque altro nel quartiere e per questo sono così autentici.

È difficile far convergere due pensieri in un’unica azione di regia?
No, perché sono anni che lavoriamo insieme e in questo troviamo che ci siano più vantaggi che svantaggi. Non ci intralciamo mai e sappiamo come usare al meglio le capacità e le opinioni l’uno dell’altro. È una ricchezza, non una minaccia. Al momento di girare noi abbiamo un solo obiettivo, catturare l’azione nel modo più credibile possibile. Questo vale per entrambi e vale anche per gli attori in scena. In questo senso, non c’è una sola linea di pensiero nei nostri film ma molte, e si fondono nell’azione. Questo significa che il risultato non è definito e ci sorprende ogni volta. È un lavoro emozionante e accade sempre qualcosa di nuovo.