Il meraviglioso mondo di Virginie

Virginie Brunelle racconta il gesto coreografico come spazio di utopia, fragilità e resistenza
di Loris Casadei
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Coreografa tra le più visionarie della scena canadese, Virginie Brunelle presenta alla Biennale Danza 2025 il suo spettacolo Fables, viaggio simbolico e femminista ispirato al mito, alla musica e alla ricerca di un’umanità possibile. In questa intervista racconta il suo processo creativo, il ruolo della fatica e dell’umorismo, e l’attualità utopica del Monte Verità.

Montreal, tra le capitali mondiali della danza, città di artisti, anche grazie alla lungimiranza del governo cittadino, che ha continuato a investire in tutti i settori dell’arte. Non possiamo dimenticare l’amata Marie Chouinard, per quattro anni direttrice della sezione Danza della Biennale, o Louise Lecavalier (So Blue, 2017), o ancora la più giovane Daina Ashbee, vista anch’essa nell’edizione 2017 con Unrelated, opera incentrata sul tema dei tabù e della sessualità femminile. Scuole e coreografi che sanno coniugare il contemporaneo con il classico, pur affrontando temi attualissimi e spesso di rottura.
È in questo contesto che si forma Virginie Brunelle, laureatasi all’Université du Québec à Montréal nel 2008. Un anno dopo fonda la Compagnie Virginie Brunelle con l’intento programmatico di porre la musica al centro del processo creativo. Il suo stile personale e visionario le apre rapidamente le porte dei grandi teatri europei, tra cui il Theaterhaus di Stoccarda dove nel 2018 presenta Les corps avalés, un connubio teso tra musica classica e corpi calpestati dalla brutalità del mondo contemporaneo.
Dopo il debutto in anteprima mondiale al Lugano Dance Project Festival nel 2022, Fables arriva a Venezia rispondendo all’appello Creatori di miti lanciato da Wayne McGregor: dodici performer e un pianista raccontano, in tre tableaux, storie di donne archetipiche della libertà. Una riflessione sul sociale, non disgiunta da un sano senso dell’humour.
L’ambientazione simbolica è il mitico Monte Verità, montagna emblematica di una controcultura idealistica d’inizio Novecento, che richiama alla memoria Rudolf Laban, Isadora Duncan, Ida Hofmann, Mary Wigman, Charlotte Bara e molti altri ancora. «Un universo di grande potenza evocativa, vicino al teatro-danza, che riecheggia un bisogno disperato di utopia, di speranza, di umanità».

Dal XV secolo la libera espressione del corpo è stata spesso limitata da rigide regole di movimento, almeno fino all’avvento della modern dance. Oggi, nel mondo della danza contemporanea, esistono ancora limiti imposti dal mercato o da altri fattori?
Assolutamente. Anche se la danza contemporanea è nata in reazione a certe forme di codificazione, non sfugge ad altri tipi di pressioni. Il mercato culturale, i programmatori, i formati imposti dalle istituzioni o le aspettative del pubblico possono diventare vincoli impliciti. C’è una tensione costante tra il desiderio di libertà artistica e le esigenze di visibilità, leggibilità o sostenibilità economica. Credo tuttavia sia possibile rimanere fedeli al proprio approccio, cercando un equilibrio tra sincerità, creatività e adattabilità, liberandosi dallo sguardo critico degli altri.

FABLES by Virginie Brunelle – Photo David Wong

Fables, creazione del 2022, viene ora presentata alla Biennale 2025 il cui tema è Creatori di miti/Myth Makers. In che modo questo pezzo risponde a quel tema e cosa l’ha spinta a sceglierlo rispetto a suoi lavori più recenti quali Sans quoi nous créverons o Les corps avalés, attualmente in tournée in Germania?
Fables esplora la costruzione di narrazioni simboliche all’interno delle comunità umane. Ogni quadro agisce come un mito in sé, come allegoria contemporanea delle tensioni, delle lotte e degli impulsi che ci attraversano. Lo spettacolo non racconta una storia nel senso tradizionale, ma crea archetipi, frammenti di leggende incarnate. Si inserisce quindi naturalmente nel tema Myth Makers.
Detto questo, Fables non è stata una mia proposta, ma una scelta di Wayne McGregor. E ne comprendo la ragione: è probabilmente il mio pezzo più vicino all’idea di mitologia contemporanea. A differenza di Sans quoi nous crèverons, più radicato in una critica socio-politica attuale, o di Les corps avalés, con una struttura più pittorica e introspettiva, Fables propone immagini che riecheggiano quasi le fiabe, con personaggi senza tempo, al contempo familiari e simbolici, che incarnano forze, desideri o conflitti universali.

Ha spesso sottolineato come la musica e il simbolismo siano centrali nelle sue creazioni, mentre Les corps avalés richiama fortemente i colori e la potenza pittorica di Caravaggio. In che momento della creazione di uno spettacolo decide aspetti visivi fondamentali come costumi e luci?
Gli elementi visivi emergono gradualmente, in dialogo con il materiale coreografico e la musica. Non parto mai con un’immagine fissa in mente, ma lascio che siano le mie intuizioni a guidarmi per i costumi e le luci. Durante le prove i colori si impongono, le texture appaiono e un universo visivo inizia a prendere forma. Con la costumista costruiamo questo mondo a strati successivi, basandoci su ciò che la danza rivela e su cosa il costume può offrire. Per quanto riguarda la luce, invece, è solo verso la fine, durante la residenza tecnica, che l’universo visivo si costruisce a partire dalle idee che ho raccolto per tutto il tempo e dalle intuizioni del lighting designer.
In Fables però il processo è stato un po’ diverso: ho voluto che il costume fosse parte dell’ideazione fin dall’inizio, cosa non sempre avvenuta nelle mie creazioni precedenti. Volevo che il costume raccontasse quanto il gesto o la musica, che riuscisse a dispiegarsi come un elemento scenografico a sé stante. L’abito diventa così contenitore di storie, di simboli, quasi un prolungamento del corpo nello spazio. Partecipa pienamente all’elaborazione del significato e alla tessitura poetica dell’opera.

FABLES by Virginie Brunelle – Photo Vanessa Fortin

Temi come unione, rottura, fascino erotico, fatica e adulterio ricorrono spesso nelle sue opere. Al contempo, in varie dichiarazioni, parla di inserire riferimenti autobiografici, desiderare momenti ludici e umorismo. Come riesce a conciliare questi aspetti apparentemente contrastanti con il suo appello all’utopia, alla speranza e all’umanità?
Credo profondamente che l’essere umano sia intrinsecamente contraddittorio, ed è proprio questo che di esso mi affascina. Le mie opere non cercano di risolvere le tensioni, ma di metterle a nudo. Umorismo, tenerezza e assurdità convivono con dolore, disillusione o desiderio. Come nella vita, la curva drammatica non è mai lineare: ogni momento di leggerezza fa da contrappunto a una scena più cupa e viceversa. Questo dialogo tra gli estremi dà rilievo a ogni emozione, permettendo loro di risuonare più in profondità. Far coesistere l’ultra-drammatico e il bizzarro significa parlare del mondo in cui viviamo.
L’umanità, per me, passa attraverso la verità e quindi l’imperfezione. Per questo mi interessa tanto la fatica fisica: a un certo punto il performer non può che impegnarsi pienamente nel compito. Il superamento di questa soglia svela l’uomo dietro il tecnico. Il corpo, nella fatica, mostra una sincerità cruda, una vulnerabilità preziosa.
L’utopia, tema centrale in Fables, emerge in quelle grandi scene di gruppo in cui tutti cercano di unirsi per un obiettivo comune mantenendo la propria individualità. È questa tensione tra il desiderio di fusione e l’affermazione della differenza che cerco di esplorare. Un modo per immaginare, forse, un altro modo di stare insieme.
L’arte offre uno spazio di riflessione, uno specchio. Esponendo le nostre lotte intime e collettive attraverso il movimento invitiamo il pubblico a guardare con occhi nuovi le proprie sfide, le relazioni e il posto che occupa nella società. L’arte non trasforma sempre il mondo concretamente, ma lo rende visibile in modo diverso. E a volte questo è sufficiente per seminare il dubbio, accendere una domanda o far nascere la speranza.

In un mondo così frammentato, in cui l’uomo sembra essere in guerra continua contro i suoi simili, il richiamo a Monte Verità in Fables le sembra ancora attuale? Preferirebbe ispirarsi all’Inno al Sole di Laban o alla sua Danza al tramonto?
Per essere del tutto onesta, non ho visto Sang an die SonneSonnenuntergang nelle loro versioni originali. Detto questo, da quello che conosco di queste opere le percepisco come ricerche simboliche di armonia, sia in uno slancio vitale verso la luce, sia in uno spazio più ambiguo tra fine e nuovi inizi. Monte Verità rimane per me un potente simbolo di resistenza dolce: un luogo in cui poter trovare nuovi modi di vivere fuori dagli schemi dominanti di industrializzazione e gerarchia sociale. In Fables mi sono ispirata a due temi chiave di questo spirito: la ricerca della parità di genere e il desiderio collettivo di utopia. Lo spettacolo si apre con un prologo che ritrae una società fredda, sconnessa, quasi meccanica, in netto contrasto con un epilogo in cui emerge gradualmente un calore umano, una coesione ritrovata. Tra questi due poli si dipanano favole femministe che presentano figure femminili più grandi della vita, ispirate alle nostre nonne e ad archetipi universali. Sono donne che si emancipano attraverso la loro tenacia, il loro umorismo, la loro forza. Portano in sé un soffio di trasformazione, celebrando l’umanità nella sua forma più resiliente e profondamente vitale.

I suoi cortometraggi Réminiscences (2021) e Show me the exit (2025) hanno purtroppo poche possibilità di essere visti dal pubblico. Ci sarà occasione di ammirarli alla Biennale Danza o magari altrove?
Ne sarei molto lieta. Questi cortometraggi sono per me preziosi spazi di creazione che permettono di esplorare un’altra temporalità, un altro rapporto con la danza. Siamo sempre aperti a opportunità per proiezioni in festival o sale. Al momento è disponibile solo Réminescences, ma se la Biennale volesse includerlo in una sezione parallela o in una programmazione speciale sarebbe per me un grande onore.

Immagine in evidenza: Virginie Brunelle – Photo Anne-Marie Baribeau

19. Festival Internazionale di Danza Contemporanea

Biennale Danza 2025 – Myht Makers/Creatori di Miti

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