Radici

Fred Kudjo Kuwornu, alle origini dei diritti negati
di Irene Machetti

Al Padiglione Centrale ai Giardini, il video di Kuwornu, dalla forte potenza narrativa e visiva, esplora la storia dimenticata degli africani in Europa durante il Rinascimento.

In questa edizione di Biennale Arte, il curatore Adriano Pedrosa stranamente non ha contemplato molti video tra le opere che compongono la mostra Stranieri Ovunque, video invece presenti in gran numero nei Padiglioni Nazionali – alcuni esempi tra tutti: Francia con la bellissima opera immersiva di Julien Creuzet, Gran Bretagna con lo spettacolare lavoro di Sir John Akomfrah, Listening All Night to the Rain, e Svizzera con l’ironico lavoro del brasiliano Guerreiro Do Divino Amor. I pochi lavori video presenti in Stranieri Ovunque sono tuttavia molto interessanti, tra loro certamente colpisce per intensità, argomento e fattura il (quasi) film di Fred Kudjo Kuwornu, artista di origine africana con diverse nazionalità (italiana, USA e ghanese), nato a Bologna e residente a New York, che da anni con i suoi film-documentari lavora sulla negritudine, sul razzismo e sui diritti delle minoranze.

We Were Here – The Untold History of Black Africans in Renaissance Europe è il titolo del suo intenso documentario, nel Padiglione Centrale ai Giardini, che in quasi un’ora racconta le storie di africani presenti in Europa nel XV e XVI secolo. L’artista è anche attore e voce narrante. Supportato da interviste a studiosi e scrittori, Kuwornu narra il suo viaggio attraverso Italia, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Stati Uniti, Ghana, Brasile per dar voce a personaggi incredibili e spesso oscurati solo per il fatto di essere africani. L’artista dice di aver voluto seguire il tema di questa Biennale Stranieri Ovunque, includendo nel progetto del video attori migranti e rifugiati, per spiegare come gli africani hanno sempre vissuto in Europa per secoli, anche se la loro presenza si è diluita nel corso di tre generazioni, nonostante sia rintracciabile in numerosi documenti e rappresentazioni visive dell’epoca. Se solo ci facciamo caso, infatti, troveremo una gran quantità di persone di colore nei quadri dei più grandi artisti come Tiziano, Caravaggio, Velasquez, ma sempre relegati in secondo piano nel ruolo di servitù, per non parlare di Otello, il Moro di Venezia, celebrato da Shakespeare.

Ecco che nel racconto visivo di Kuwornu si scopre la storia di Alessandro de’ Medici, il primo Duca di Firenze e primo capo di Stato nero del mondo occidentale, figlio illegittimo di Papa Clemente VII e di una schiava africana. Di lui esiste un ritratto agli Uffizi eseguito da Vasari e la sua vicenda è stata raccontata nel bel corto del  2021 Il Moro di Daphne di Cinto. Si trova anche il racconto della vita di San Benedetto il Moro, compatrono di Palermo, francescano, schiavo etiope, nato nel 1524 a Messina. La devozione popolare per lo schiavo santo è enorme e un gigantesco murale a Ballarò ne sottolinea la grandezza. E poi ancora le vite di Joao Panasco, cavaliere portoghese dell’Ordine di Santiago, o lo schiavo pittore Juan de Pareja, assistente di Velasquez. Quello di Kuwornu non è solo un’opera di denuncia, ma è un momento di riflessione sui diritti negati, in primis quello di cittadinanza.

Immagine in evidenza: Courtesy La Biennale di Venezia – Photo Matteo de Mayda

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