Giardino Creolo

Il manifesto di resistenza, memoria e pluralità del Padiglione portoghese
di Giovanna Tissi

In antitesi alle monocolture delle piantagioni d’epoca coloniale, il giardino di piante native africane ricreato da Mónica de Miranda a Palazzo Franchetti ha generato uno spazio aperto di liberazione, possibilità e molteplicità nel contemporaneo.

Tre giorni di finissage, con performance e conversazioni il 21, 22 e 23 novembre, costituiscono l’ultima possibilità per il pubblico di vivere appieno l’esperienza d’arte partecipativa offerta dal Padiglione del Portogallo con Greenhouse, il “giardino creolo” composto e cresciuto nel corso dei sette mesi della mostra, in cui il piano nobile di Palazzo Franchetti si è animato con un ricco e variegato programma.  Il concept curatoriale interdisciplinare ha preso forma dalla riuscita collaborazione tra l’artista Mónica de Miranda, la storica Sónia Vaz Borges e la coreografa Vânia Gala, le quali, grazie anche alla provenienza da ambiti culturali diversi, sono riuscite a dar vita ad un’opera d’arte collettiva e performativa che resterà negli annali come un vero e proprio manifesto artistico della cultura della diversità, in linea con Stranieri Ovunque firmata da Adriano Pedrosa. In antitesi alle monocolture delle piantagioni d’epoca coloniale, fino a quelle attuali dell’economia di mercato globale, il “giardino creolo” di piante native africane ricreato a Palazzo Franchetti, riferendosi agli orti ricchi di biodiversità densamente piantumati dagli schiavi come atto di resistenza e sopravvivenza, ha generato nei sei mesi di esposizione uno spazio aperto di liberazione, possibilità e molteplicità nel contemporaneo. L’approccio collettivo e interdisciplinare delle tre co-curatrici ha permesso l’accoglienza e la partecipazione del pubblico ad una serie di incontri, spettacoli, dibattiti e performance per promuovere il pensiero critico attraverso la pluralità delle voci, come per esempio le lecture di curatori di altri padiglioni della Biennale Arte, fra i quali: Abraham Oghobase della Nigeria, Azu Nwagbogu del Benin, Cindy Sissokho della Francia, Hicham Khalidi, Manal Al Dowayan dell’Arabia Saudita, Maria Madeira di Timor-Leste, Molemo Moiloa del Sud Africa. Nella stessa direzione è da intendersi il contributo dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda, presente nella mostra di Pedrosa e incluso qui come direttore artistico della performance Resurrection/ Insurrection, che esplora processi storici e contemporanei della violenza coloniale, l’insurrezione anti-coloniale e la resurrezione post-coloniale. Il Padiglione Portogallo vuole in questo modo ricordare due importanti anniversari: il Centenario della nascita di Amílcar Cabral, leader della Guinea-Bissau, fondamentale per l’indipendenza del Paese, e il 50. anniversario della Rivoluzione dei Garofani, che depose la dittatura portoghese (1974). La performance Grounded Soil, prevista per il finissage, è l’atto finale della trasformazione del Padiglione in uno spazio di azione e dialogo. Da non perdere!

Immagine in evidenza: Courtesy La Biennale di Venezia – Photo Andrea Avezzù

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