Amplificata dalle impressionanti dimensioni, l’installazione che attraversa poeticamente lo spazio d’entrata alle Corderie dell’Arsenale ha valso al collettivo Mataaho il Leone d’Oro della Biennale Arte 2024.
Nell’assegnare il Leone d’Oro a Mataaho Collective per la migliore partecipazione a Foreigners Everywhere, la giuria della 60. Biennale Arte ha sottolineato la potenza evocativa dell’installazione che attraversa poeticamente lo spazio all’Arsenale, amplificata dalle impressionanti dimensioni: «una prodezza ingegneristica che è stata resa possibile solo dalla forza e dalla creatività collettiva del gruppo», con un «abbagliante modello di ombre proiettate sulle pareti e sul pavimento [che] rimanda a tecniche ancestrali e fa pensare a usi futuri delle stesse». Formato dalle artiste māori Bridget Reweti, Erena Baker, Sarah Hudson e Terri Te Tau, Mataaho Collective ha dedicato l’ultimo decennio alla creazione di ampie installazioni in fibra che richiamano gli intricati intrecci della vita e dei sistemi di sapere māori . Uno degli elementi centrali del loro lavoro è il takapau, una stuoia finemente tessuta tradizionalmente utilizzata nelle cerimonie, in particolare durante il parto. Nel mondo māori , il takapau assume un significato profondamente sacro, in quanto simbolo del momento della nascita, segnando la transizione tra il regno della luce (Te Ao Marama) e il regno degli dei (Te Ao Atua). L’utero, nella concezione māori , è considerato uno spazio sacro in cui i bambini sono in connessione diretta con le divinità, conferendo alla nascita un’aura di sacralità e mistero. L’installazione Takapau, che accoglie i visitatori all’entrata delle Corderie dell’Arsenale, incorpora materiali che includono tiranti e attrezzi utilizzati per mettere in sicurezza e sostenere carichi in movimento. I nastri riflettenti che compongono l’installazione sono gli stessi usati per realizzare gli equipaggiamenti di sicurezza dei lavoratori in ambienti di lavoro rischiosi. Spesso abbinati a colori fluorescenti, queste uniformi sono progettate per essere notate, anche se le persone che le indossano sono spesso destinate a rimanere invisibili. La scelta dei materiali e l’attenzione ai dettagli riflettono dunque la volontà del collettivo di mettere in luce l’importanza della comunità e del lavoro collettivo, valori fondamentali nella cultura māori. L’installazione, osservabile da molteplici prospettive, rivela un’intricata struttura attraverso un gioco di luci e ombre che filtra attraverso i motivi intessuti, creando un ambiente multisensoriale – materiale e immateriale – che avvolge il visitatore proprio come un grembo materno, infondendo un senso di fiducia e sicurezza.