Lee Bae – La Maison de la Lune Brûlée, Evento Collaterale della Biennale Arte 2024, presenta l’esplorazione dell’artista sudcoreano di un rituale centenario noto come Moonhouse Burning o daljip taeug profondamente radicato in Corea del Sud.
La Fondazione Wilmotte, fondata nel 2005 dal celebre architetto francese Jean-Michel Wilmotte, è impegnata in tutte le sue sedi internazionali a promuovere progetti espositivi in particolare di architettura, ma non solo, con un occhio di riguardo per i giovani. Così è da anni anche a Venezia, nel cuore di Cannaregio. Normalmente presenta progetti prodotti, o comunque direttamente accolti e promossi, da essa stessa. Qualche rara volta, quando davvero il progetto lo merita, ospita però progetti autonomi altri, non necessariamente legati a doppio filo con la Fondazione. È il caso quest’anno dell’Evento Collaterale della 60. Biennale Arte, Lee Bae – La Maison de la Lune Brûlée, organizzato da Hansol Foundation – Museum SAN e curato da Valentina Buzzi. La mostra presenta l’esplorazione dell’artista sudcoreano Lee Bae di un rituale centenario noto come Moonhouse Burning o daljip taeug profondamente radicato in Corea del Sud. Un rituale, coincidente con il 15esimo giorno del primo mese del calendario lunare, che si svolge in occasione della prima luna piena dell’anno riunendo l’intera comunità in una celebrazione unica e simbolica della cosmologia ciclica. Il nucleo del progetto è connotato dall’intrinseca connessione tra l’uomo e il mondo naturale, che l’esposizione indaga attraverso i temi del rinnovamento, della circolarità e dei ritmi armoniosi della natura, superando la dicotomia natura/cultura contemporanea. Il rituale è stato ripreso e restituito attraverso un’opera di videoarte, Burning (2024), ora proiettata attraverso sette proiettori sulle pareti del corridoio d’ingresso della Fondazione che conduce alla sala espositiva, all’interno della quale, trasformata in un disteso e avvolgente white cube da calpestare scalzi, i visitatori incontrano diverse installazioni, Brushstroke (2024), che si sviluppa sia sul pavimento che sulle pareti, rivestite con carta bianca attraverso una speciale tecnica chiamata marouflage. Opere dipinte con vernice a carboncino ricavata dalla combustione del legno del Moonhouse Burning. Al centro dello spazio un imponente monolite scolpito in granito nero dello Zimbabwe, Meok (2024), funge da punto focale per la meditazione e la riflessione. Una scultura monumentale evocante il tradizionale bastoncino d’inchiostro coreano, usato storicamente nei circoli accademici e culturali coreani come mezzo per trasmettere la conoscenza attraverso le generazioni. Ultimo lavoro presente in sala l’opera su tela Issu du Feu (2024), dove i frammenti di carbone si trasformano in mosaici con riflessi e opacità contrastanti. Lo spazio espositivo rappresenta nel suo insieme un momento per sperimentare quello che le filosofie asiatiche riconoscono come “spazio negativo”: la nostra e l’altrui essenza si manifestano attraverso un’assenza che è complementare alla forza bruciante dell’opera video. Uscendo dalla sala, i visitatori attraversano infine una struttura effimera, Moon (2024), il cui percorso conduce alle acque veneziane. Il percorso simboleggia il rinnovamento e la connessione con l’atmosfera di Cheong-do che connota il rito del rogo in onore della luna. La mostra di Lee Bae permette di compiere un viaggio interiore nel cuore della saggezza senza tempo della filosofia coreana, ponendo quesiti essenziali sul ruolo centrale delle antiche tradizioni nel nostro presente.