L’arte dell’estinzione

La “pinacoteca” al contrario di Gamarra Heshiki
di Marisa Santin

Il progetto trasforma il Padiglione spagnolo in una pinacoteca storica d’arte occidentale che mette al centro la nozione di “migrazione” nelle sue molteplici sfaccettature.

La peruviana Sandra Gamarra Heshiki (Lima, 1972), prima artista straniera a rappresentare la Spagna alla Biennale, utilizza la pittura figurativa per sovvertire i meccanismi di rappresentazione, esposizione e commercializzazione dell’arte, riflettendo l’eredità del suo paese d’origine, in cui la cultura precolombiana, coloniale e occidentale si incontrano e si scontrano. Il progetto trasforma il Padiglione in una pinacoteca storica d’arte occidentale che mette al centro la nozione di “migrazione” nelle sue molteplici sfaccettature. Il concetto occidentale di pinacoteca, esportato nelle ex colonie, viene qui invertito, rendendo visibile una serie di narrazioni storicamente alterate o silenziate. Suddivise in cinque sale interne che conducono a un giardino esterno, le opere di Gamarra Heshiki combinando diversi elementi che richiamano la ferita coloniale aperta. La prima sala, Terra Vergine, ospita riproduzioni di paesaggi appartenenti a musei spagnoli, riferiti all’attuale territorio spagnolo e alle ex colonie dell’America Latina, delle Filippine e del Nord Africa. Su ogni dipinto sono sovrapposte citazioni di scrittori e pensatori ecofemministi. La successiva sala, Il Gabinetto dell’Estinzione, collega il colonialismo all’estrattivismo mostrando facsimili di tavole botaniche europee del XVIII e XIX secolo. Nel Gabinetto del Razzismo Illustrato Heshiki si spinge fino ad accostare il concetto di classificazione scientifica alla volontà dell’Occidente di imporre la propria superiorità a scapito del Sud Globale, mentre la sala intitolata Maschere Meticce approfondisce le pratiche coloniali della ritrattistica, concepite come capsule del tempo che cercano di immortalare norme politiche e sociali. Nella galleria centrale, Pala della Natura Moribonda, l’artista utilizza la natura morta come genere che sintetizza i temi delle sale precedenti, raffigurata in un grande polittico che rivela le nozioni di accumulo e ostentazione. Le cinque sale conducono infine al Giardino Migrante, abitato da rappresentazioni di piante aliene o invasive che alludono all’impatto dei colonizzatori sulle popolazioni indigene. Ma lo spazio esterno, ultima tappa di un viaggio simbolico che sembra preludere all’estinzione della civiltà, offre uno spiraglio di speranza: le piante alloctone hanno trovato un terreno in cui stare e l’alterazione degli ecosistemi può essere valutata e misurata in una prospettiva in cui tutte le specie coesistono in un’armonia priva di gerarchie.

Immagine in evidenza: Courtesy La Biennale di Venezia – Photo Matteo de Mayda

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