(1953, Italia, 113')
La provinciale, film del 1953 per la regia di Mario Soldati, venne indicato nel 2008 dai critici tra i cento film italiani “che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978”. A tutti apparirà ben visibile la maestria degli attori, da Gabriele Ferzetti alla allora ventiseienne Gina Lollobrigida; i più si commuoveranno per la storia della popolana Gemma, innamorata ricambiata di un aristocratico che scopre di non poter sposare, perché… La rivelazione la lasciamo al minuto 47,30 della pellicola: la costruzione a noir francese della storia non dovrebbe permettere di svelarlo. Ma vi sono ben altri elementi dell’opera da sottolineare. La trama, innanzitutto, ispirata dall’omonimo racconto di Moravia, il quale a sua volta riprese una vicenda personale, molto attenta a raccogliere gli spasmi delle contraddizioni sociali del dopoguerra. Poi la sceneggiatura, che è di un altro grande scrittore, Giorgio Bassani, il quale descrisse una vicenda molto simile in Lidia Mantovani, racconto contenuto in Storie Ferraresi.
La regia di Soldati è molto innovativa per l’epoca e ancora oggi degna di nota. Si distingue per un intelligente ricorso al flashback, tecnica assai inusuale per quel periodo, per la voce fuori campo, che permette al protagonista di esternare le sue riflessioni, con il personaggio sempre ripreso di spalle, per l’impiego dello zoom nel catturare l’intensità dello sguardo della Lollobrigida, “occhi parlanti”, per l’utilizzo della modernissima tecnica del dissolvimento, per la ripresa di un’inquadratura successiva al fine di meglio raccontare lo svolgersi di una scena (quella della fuga sulle scale, ad esempio) e per la ripetizione di uno stesso episodio da diversi punti di vista. Degni di nota anche il ricco uso di elementi scenografici che illustrano un’epoca: le brave ragazze con il pianoforte in casa, simbolo non peccaminoso di voglia di emancipazione, la pratica diffusa dell’affittacamere, il macinino del caffè, il Gesù con il cuore trafitto e sanguinante sull’uscio di casa, l’immancabile rosmarino in giardino, i vestiti a pois e le false aristocratiche slave. Il contrasto sociale e il cambiamento in atto sono ben evidenziati nelle inquadrature iniziali: sulla via passa un carretto con il cavallo, poi una bicicletta, poi un autobus e infine le lussuose decappottabili dei ricchi. Quindi le vacanze, dalle sognate riviere liguri e francesi con la relativa vita mondana alla ‘tranquilla’ Vidiciatico sugli Appennini proposta dal marito.
La provincia contro la modernità delle capitali; nel nostro caso il grido non è “a Mosca, a Mosca”, ma più sobriamente “a Roma”. Film femminista lo si potrebbe anche definire in qualche modo, sì. Presentato al 6. Festival di Cannes ebbe un notevole successo nelle sale, anche se qualche critico del tempo non riuscì a capirlo, qualcuno definendolo addirittura “neorealismo d’appendice”.
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