Questi sconosciuti

D’Anolfi e Parenti svelano il mondo vegetale e animale in una poetica 'enciclopedia' cinematografica
di Mariachiara Marzari
  • martedì, 3 settembre 2024

Dopo Spira Mirabilis (2016) e Guerra e pace (2020), la coppia di documentaristi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti torna Fuori Concorso al Lido con Bestiari, Erbari, Lapidari, una sorta di enciclopedia cinematografica e poetica divisa in tre atti, ciascuno dei quali realizzato secondo gli stilemi di un particolare linguaggio documentaristico.

Questi “sconosciuti”…: come animali, vegetali e minerali sono diventati il soggetto del vostro lavoro? E come viene rappresentato l’agire umano attraverso di essi?
Da tempo desideravamo realizzare un film sul mondo vegetale, anche se le piante sono difficili da pensare e ancora più difficili da filmare, ragione per cui il progetto rimaneva sospeso. Tuttavia, in modo carsico, ciclicamente riaffiorava alla nostra attenzione. Durante l’autunno del 2020, dopo la nostra partecipazione alla Mostra di Venezia con Guerra e pace, abbiamo iniziato a pensare al film successivo. Ma il mondo era chiuso a causa del Covid e questo condizionava pesantemente le possibilità di realizzazione. L’immaginazione era fertile, ma dovevamo fare i conti con numerosi limiti di mobilità. Abbiamo quindi ipotizzato di circoscrivere il film al perimetro della città in cui abitiamo, Milano. Un giorno un’amica ci ha detto che dal veterinario del quartiere erano ricoverate due tigri appena nate, entrambe con la polmonite. Siamo andati subito a vederle e ne siamo rimasti rapiti. Così, in un’associazione di idee immediata, abbiamo collegato animali e piante, da cui l’incubazione del titolo: Bestiari, Erbari. Seguendo la tradizione medievale, abbiamo aggiunto le pietre ai due soggetti, e così è nato il primo trattamento: Bestiari, erbari, lapidari di città. Volevamo realizzare un film in non più di un anno, un tempo davvero breve rispetto al nostro consueto modo di lavorare. Poi il mondo ha iniziato a riaprirsi e il progetto ha preso una sua nuova piega. È cresciuto. Abbiamo guardato oltre il perimetro cittadino e, dopo quattro anni, abbiamo finalmente ultimato il film, un lavoro in cui l’uomo e il suo agire diventano parte integrante del nostro paesaggio cinematografico.

Un film che diventa trattato scientifico in bilico tra l’antico e il contemporaneo, con uno sviluppo drammaturgico unico e tre diversi dispositivi di messa in scena. Come avete costruito l’impianto filmico per affrontare un argomento così enciclopedico?
Fin dal primo soggetto il film univa i tre regni della natura. Abbiamo quindi ‘assegnato’ a ciascun regno un linguaggio tipico del genere documentario: il film d’archivio declinato nella forma del saggio, il documentario poetico e d’osservazione, il film industriale e sentimentale. Ne è nata un’‘enciclopedia’ che combina cinema, natura ed emozioni. I nostri film, durante la fase di realizzazione, sono sempre dei lunghi viaggi e la forma enciclopedica a suo modo rappresenta un viaggio all’interno del sapere. Abbiamo cercato di interpretare, restituire e rappresentare questo meraviglioso mondo in cui trasformiamo la realtà e i sentimenti in film.

Il documentario è sempre più protagonista dei festival. Un genere che, fino a ieri, poteva sembrare confinato entro limiti ben definiti, oggi acquisisce una piena e composita libertà di forma e linguaggio. Che cosa rende questo genere unico e imprescindibile per voi?
A nostro avviso il cinema documentario consente una libertà di pensiero e di approfondimento illimitata, che permette di continuare a imparare dal mondo, dagli incontri, dai doni del “caso”. È la forma di cinema che più ci rappresenta, sia dal punto di vista produttivo che da quello creativo.

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