La natura del male

Il nuovo film di Fabrice Du Welz sul terribile caso del mostro di Marcinelle
di Andrea Zennaro
  • martedì, 3 settembre 2024

Il regista belga Fabrice Du Welz porta a Venezia nella sezione principale Fuori Concorso, il suo nuovo film, Maldoror, tesissima ricostruzione del caso del mostro di Marcinelle che scosse il Belgio negli anni ’90.

Qual è stato l’impulso che l’ha spinta a girare un film su questo caso di cronaca nera che ha scosso il suo Paese?
Quando scoppiò lo scandalo, a metà degli anni ‘90, avevo vent’anni ed ero così ingenuo da presumere che il mondo degli adulti fosse un luogo sicuro e ben organizzato. Come la maggior parte delle persone della mia generazione, sono stato sopraffatto da un caso apocalittico, misto di informazioni nascoste, implicazioni assurde, contraddittorie, mediocri e disattenzione. Noi belgi non siamo riusciti a liberarci di questo caso per molto tempo: era un pozzo nero in cui furono gettati gli stessi cittadini, testimoni sconvolti di quanto fossero impotenti i genitori delle piccole vittime di fronte ai difetti e all’assurdità del sistema giudiziario. Scoprimmo poi che le indagini si erano impantanate a causa delle rivalità tra poliziotti, che avevano provocato numerose disfunzioni e danni irreparabili. In Belgio, come in qualsiasi altra parte del mondo, ci siamo tutti chiesti: come siamo arrivati fino a questo punto? Nel profondo della mia mente, ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare un film su questa tragedia. Poiché i fatti sono particolarmente raccapriccianti, è stato difficile per me assumermi la responsabilità di questo materiale, soprattutto in Belgio, dove lo scandalo è ancora una questione molto delicata. Quando ho cominciato a parlare di fare un film “ispirato” allo scandalo Dutroux, ho dovuto affrontare molta ostilità. Dovevo trovare l’angolazione giusta, la lente giusta, la distanza giusta, senza mai ferire le vittime. Soprattutto, ho capito che era fondamentale ambientare la storia a Charleroi, dove la gente è ancora colpita dallo scandalo. È una città industriale, che era molto ricca nell’Ottocento e che da allora è stata duramente colpita dal declino sociale ed economico. Essendo anch’io residente a Bruxelles e proveniente da una famiglia della classe medio-alta, mentre stavo esplorando le location di Charleroi, non avevo idea che la città fosse un personaggio a sé stante. Era fondamentale avvicinare con la massima dignità la classe operaia che viveva lì e le persone di origine siciliana che lavoravano nelle miniere.

Il ritmo del film è molto serrato e, allo stesso tempo, mantiene un approccio intimista ai personaggi: come è riuscito a mantenere un giusto equilibrio nella struttura dell’opera?
Mi sono avvicinato al progetto come ad uno spaccato ridotto di uno scandalo tentacolare. Volevo spostare la narrazione verso la finzione, fino all’ucronia, ad un sistema giudiziario immaginario i cui numerosi difetti ci impedivano di ottenere giustizia. Molto presto ho pensato di affrontare lo scandalo attraverso il genere poliziesco, come La Femme flic di Yves Boisset. Volevo connettermi con i film noir francesi degli anni Settanta i cui autori principali erano Alain Corneau e Yves Boisset. Ma mentre guardavo C’era una volta a… Hollywood di Tarantino ho avuto un’illuminazione, realizzando che avrei potuto creare un vero pezzo cinematografico, proprio mentre restituivo un po’ di dignità a coloro il cui onore era stato calpestato. Perché la mia preoccupazione principale era realizzare un film quanto più interessante possibile, pur essendo incentrato sui personaggi. Questo film è anche un punto di partenza per me, a causa della sua risonanza evocativa e ambizione universale. Quindi, volevo davvero spingermi verso la finzione e la sfida era inventare qualcosa di nuovo.

Il cinema ha affrontato molteplici volte i killer seriali: c’è una qualche film del passato che le è servito da modello o ispirazione per Maldoror.
Volevo che il film sembrasse estremamente realistico e la prima parte è stata girata sul posto per frenare la mia naturale inclinazione verso l’eccentricità o il genere del racconto horror. Ancora una volta, ero determinato a realizzare un thriller poliziesco molto simile ai film francesi degli anni ‘70, ma anche a quelli di Sidney Lumet, con il suo approccio realistico, e naturalmente a quelli di William Friedkin, un regista che ha avuto un’influenza particolare su di me: il suo approccio documentaristico, da Il braccio violento della legge a L’esorcista, lo ha aiutato a realizzare film incentrati sui personaggi che esplorano anche il male metafisico che affligge la società. Il pubblico dovrebbe prima accettare l’arredamento e la scenografia, in modo da poter poi diventare tutt’uno con Paul e abbracciare gradualmente la sua deriva mentale.

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