Connessioni pericolose

Kurosawa Kiyoshi con "Cloud" indaga il lato oscuro del cinema d’azione
di Andrea Zennaro
  • venerdì, 30 agosto 2024

Fuori Concorso con la sua ultima opera, Cloud, il maestro del J-horror Kurosawa Kiyoshi approda al cinema d’azione, con un film che racconta come ognuno di noi può essere travolto da un vortice d’odio.

Dove ha tratto ispirazione per la sua nuova opera?
Spesso la realizzazione di un mio film inizia pensando al suo genere, questa volta si trattava di un film d’azione. Oggi in Giappone vengono girati molti film di questo tipo, ma la maggior parte sono storie di fantasia lontane dalla realtà, o drammi su persone che entrano quotidianamente in contatto con la violenza, come agenti di polizia, forze di autodifesa e ambienti della Yakuza. Il mio obiettivo era invece raccontare una storia in cui persone comuni, persone che vivono completamente libere dalla violenza, finiscono in una relazione estrema in cui vale il meccanismo “uccidere e farsi uccidere”.

Il reseller Yoshii, che usa il nickname Ratel, si trova in un vortice d’odio poiché oltrepassa il confine della legalità, vendendo merce contraffatta; come in Pulse, il terrore arriva da internet, ma ora è reale non sovrannaturale: fino a che punto, secondo lei, i social media e le interazioni digitali possono portare ad un imbarbarimento della società?
Internet è solo uno strumento, non contiene nulla di dannoso. Se c’è un problema, probabilmente è dal lato umano. I personaggi del film attraversano circostanze diverse, ma vivono tutti sull’orlo della distruzione e sono soli. Internet amplifica, esagera e riunisce le distorsioni e le frustrazioni che si sono accumulate nel cuore di queste persone. Penso che ciò che è spaventoso sia quando queste persone escono dall’ambiente di Internet e iniziano a spargere cattiveria fisica.

Si potrebbe dire che l’alienazione digitale genera mostri: la mancanza del contatto e dei rapporti umani porta a creare una società incapace di interagire con il prossimo. Ci può essere una via d’uscita da questo mondo artificiale?
Non so come uscire da questa situazione. La cosa più semplice da fare nelle prime fasi è spegnere il computer, ma sembra che sia già troppo tardi. Oggi molte frodi, crimini e persino guerre sono collegati all’ambiente web. Se c’è qualche speranza, è che i computer possano amplificare e diffondere anche le buone intenzioni.

Quest’anno ha diretto un mediometraggio intitolato Chime, presentato alla Berlinale, il remake francese del suo film del 1998 Hebi no michi e adesso Cloud: come riesce ad essere così prolifico ed allo stesso tempo mantenere una così alta qualità artistica?
Penso che il cinema sia sempre qualcosa di avventuroso e nuovo, non mi riferisco solo alla mia carriera. Negli ultimi anni ho girato il mio primo auto-remake in Francia, il mio primo mediometraggio di 45 minuti e, con il film Cloud, ho lavorato per la prima volta con Masaki Suda, attore di prim’ordine che rappresenta il cinema giapponese moderno. È stato molto emozionante ed è stata un’esperienza che mi ha reso tanto felice. Non riesco a realizzare nulla da solo, ma il sistema stesso del cinema mi fornisce costantemente nuove esperienze ed incontri.

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