È l’alba del 5 settembre 1972 quando un commando di terroristi palestinesi dell’organizzazione Settembre Nero fa irruzione nel villaggio olimpico di Monaco, uccide subito due atleti israeliani e ne prende in ostaggio nove, che avranno destino analogo dopo estenuanti trattative. Il film di Tim Fehlbaum ripercorre la tragedia incentrandosi su una diretta televisiva che cambiò per sempre la copertura giornalistica di un fatto di cronaca.
Nato in Svizzera nel 1982, Tim Fehlbaum ha all’attivo diversi cortometraggi realizzati appena dopo essersi diplomato all’Accademia del cinema e della televisione di Monaco di Baviera, nel 2009. Il suo thriller apocalittico Hell, di cui ha curato anche la sceneggiatura, è stato presentato al Festival di Locarno nel 2011, aggiudicandosi nello stesso anno il Förderpreis Deutscher Film al Festival del Cinema di Monaco.
I suoi film precedenti si sono concentrati su generi post-apocalittici e di fantascienza. Cosa l’ha spinta a passare ad un film sull’attacco alla delegazione israeliana alle Olimpiadi di Monaco del 1972?
In un’epoca in cui il live streaming e l’accesso istantaneo alle immagini modellano il modo in cui percepiamo gli eventi, questa la prospettiva dei media è particolarmente rilevante. Le immagini hanno un potere immenso, influenzano le opinioni delle persone. Quello di Monaco è stato il primo atto di terrorismo raccontato in diretta e in tempo reale, aggiungendo una nuova dimensione al giornalismo e alla percezione pubblica. La copertura in diretta ha fatto vivere ai telespettatori un dramma con un’intensità senza precedenti. Il nostro film mira a esplorare le complessità del giornalismo durante una crisi di questo tipo.
Un momento intenso è quello in cui l’équipe giornalistica deve decidere se trasmettere un assassinio in diretta..
La loro mancanza di esperienza in tali situazioni ha reso questo un precedente interessante, in quanto si sono trovati di fronte a questioni morali e costretti a trovare delle soluzioni. Dalla nostra ricerca, abbiamo scoperto che la troupe stava discutendo in tempo reale mentre i terroristi minacciavano di uccidere gli ostaggi davanti alle telecamere. Alla fine, decisero di spegnere le telecamere e ritardare la trasmissione per poter rivedere il materiale girato prima di prendere una decisione.
Può dirci qualcosa di più su Geoffrey Mason e come è entrato in contatto con lui?
Volevamo esplorare gli eventi di Monaco da varie prospettive, tra cui quelle della polizia, dei terroristi, delle vittime e dei media. Durante la nostra ricerca, abbiamo incontrato Geoffrey Mason, che all’epoca era un giovane produttore. Nella nostra prima conversazione, ricorda vividamente gli eventi. La sua descrizione del lavoro giornalistico mi è sembrata particolarmente interessante. Perché non raccontare la storia attraverso il suo punto di vista, mostrando il mondo esterno solo attraverso le telecamere e microfoni? Mason ci ha poi messo in contatto con Jimmy Scheffler, un atleta che aveva passato filmati alla polizia, e Sean McManus, il figlio del conduttore Jim McKay. Questi sono stati i tre testimoni chiave con cui abbiamo parlato.
È l’alba del 5 settembre 1972 quando un commando di terroristi palestinesi dell’organizzazione Settembre Nero fa irruzione nel villaggio olimpico di Monaco, uccide subito due atleti israeliani e ne prende in ostaggio nove, che avranno destino analogo dopo estenuan...
Il linguaggio che sta usando qui differisce dalla pura finzione, la scrittura e la realizzazione del film tendono verso uno stile documentaristico.
Sono contento di essere riuscito a trasmettere questa idea. Abbiamo scritto la sceneggiatura basandoci sul materiale trasmesso quel giorno e inizialmente non eravamo sicuri di poter usare il filmato originale. Usarlo è stato fondamentale, perché ricreare il reportage di Jim McKay con un attore sarebbe stato difficile. Grazie ai produttori, la ABC ci ha permesso di utilizzare le riprese, che abbiamo proiettato sul set, creando una fusione tra realtà e finzione.
L’ABC ha voluto vedere il film per autorizzarlo?
Sì, volevano leggere la sceneggiatura prima di darci l’approvazione. Durante la ricerca, ho visitato alcune sale di controllo sportivo a New York con John Magaro, l’attore principale. Per coincidenza, abbiamo incontrato Sean McManus, il figlio di Jim McKay di cui parlavo prima, che era anche il capo della CBS Sports. Ho colto l’occasione per chiedergli il permesso di usare il filmato relativo a suo padre. Dopo aver letto la sceneggiatura, ci ha dato la sua approvazione, e il suo supporto è stato fondamentale quando abbiamo chiesto alla ABC di poter utilizzare le riprese.
Nel film, gli organizzatori dei Giochi Olimpici decidono di fermare i giochi, ma le gare continuano nonostante l’attacco terroristico. Pensa che questo rifletta in qualche modo l’esperienza che stiamo vivendo oggi?
Sì, senz’altro, e sono davvero felice che lei l’abbia sottolineato perché è stato uno dei momenti più significativi del film per me, quando ci si chiede: Questa è la vita reale, ma cos’è la vita reale?. Questa idea non era presente nella sceneggiatura iniziale; l’abbiamo sviluppata dopo aver visto il filmato originale. Non penso che una frase del genere verrebbe in mente se non fosse realmente accaduta, sapevamo che dovevamo usarla e costruire una scena attorno a quel momento.
Può dirci qualcosa di più sulle sue collaborazioni nella realizzazione del film, in particolare con il cast e con i produttori, tra cui Sean Penn?
Le Olimpiadi di Monaco hanno riunito persone da tutto il mondo, e nella scelta del casting abbiamo tenuto conto di questo aspetto, selezionando attori dalla Germania, dall’Europa e dagli Stati Uniti. Per il cast tedesco: abbiamo scelto Leonie Benesch, che l’anno scorso ha recitato in La sala professori, nominato all’Oscar. Era una delle mie prime scelte, e sono stato fortunato che fosse interessata al ruolo. Il coinvolgimento di Sean Penn ha avuto un’importanza fondamentale, poiché per una produzione tedesca è difficile coinvolgere i migliori talenti statunitensi. La sua reputazione ha aperto molte porte. Oltre al suo nome, il film è stato influenzato dalla collaborazione creativa con i suoi partner, John Ira Palmer e John Wildermuth, così come dai nostri produttori, Thomas Wöbke e Philipp Trauer, il cui contributo creativo è stato inestimabile.
È un momento delicato per discutere di Israele e Palestina. Come si sente riguardo all’uscita del film ora, crede che la sua attenzione al giornalismo si distinguerà dall’attuale clima politico?
Eravamo nelle ultime settimane di post-produzione quando è avvenuto l’attacco del 7 ottobre e, naturalmente, sono profondamente colpito da quei tragici eventi e da ciò che ne è seguito. Tuttavia, il nostro film è stato scritto e girato prima che ciò accadesse. Penso che siamo riusciti ad esprimere molto chiaramente che il nostro film riguarda la prospettiva dei media e come raccontare eventi di questo tipo e che non vuole essere una presa di posizione sulla situazione politica attuale.