• venerdì, 6 settembre 2024

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di Roberto Pugliese

Sta per calare il sipario sulla Mostra e tocca a un’altra serie l’appuntamento forse più atteso: M. Il figlio del secolo di Joe Wright (Espiazione, L’ora più buia) dal lavoro di Antonio Scurati, fresco delle polemiche per la censura subìta nella Rai meloniana: nei panni di Mussolini uno spiazzante Luca Marinelli. A chiudere la gara due capitoli finali di altrettante trilogie: lo scottante Love (dopo Sex e Dream) del norvegese Dag Johan Haugerud sul cambiamento dei costumi sessuali, segnatamente all’omosessualità maschile, e l’elegiaco Youth: Homecoming del documentarista cinese Wang Bing sui sogni infranti di una comunità di lavoratori tessili. Ma fuori gara fioccano gli appuntamenti di peso. Ecco il gran ritorno dell’amatissimo Takeshi Kitano col misterioso e metalinguistico Broken Rage e l’autobiografico e “famigliare” Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini (la sorella scenografa Paola riceve il Premio Campari) con Fabrizio Gifuni. In Orizzonti si attendono il dramma del lavoro One of Those Days when Hemme Dies del turco Murat Fıratoğlu e – attualissimo – Of Dogs and Men dell’israeliano Dani Rosenberg, sull’odissea di un’adolescente alla ricerca del suo cane dopo gli orrori del 7 ottobre a Gaza. La SIC chiude con Little Jaffna di Lawrence Valin, nome di un quartiere parigino abitato dalla comunità Tamil, e le Giornate degli Autori con Basileia, opera prima di Isabella Torre (suoi i corti Ninfe e Luna piena visti a Venezia), dedicato allo spietato e affascinante Aspromonte. Nella giornata finale di sabato aspettiamo i Leoni con Horizon: An American Saga, la monumentale epopea western di e con Kevin Costner, e con L’orto americano, il ritorno di Pupi Avati alle tonalità soprannaturali e gotiche a lui sempre care; nel cast Filippo Scotti, Rita Tushingham e Chiara Caselli.

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Sta per calare il sipario sulla Mostra e tocca a un’altra serie l’appuntamento forse più atteso: M. Il figlio del secolo di Joe Wright (Espiazione, L’ora più buia) dal lavoro di Antonio Scurati, fresco delle polemiche per la censura subìta nella Rai meloniana: nei panni di Mussolini uno spiazzante Luca Marinelli. A chiudere la gara due capitoli finali di altrettante trilogie: lo scottante Love (dopo Sex e Dream) del norvegese Dag Johan Haugerud sul cambiamento dei costumi sessuali, segnatamente all’omosessualità maschile, e l’elegiaco Youth: Homecoming del documentarista cinese Wang Bing sui sogni infranti di una comunità di lavoratori tessili...
Irrompe la realtà, nelle sue varie forme. A cominciare, fuori gara, dal doc “non autorizzato” della moscovita Anastasia Trofimova Russians at War, ovvero la guerra tra Russia e Ucraina testimoniata al netto delle rispettive propagande, indagando sul fronte russo la disillusione e lo smarrimento dei soldati di Putin. Dalla vicina Georgia (in Concorso) proviene poi Dea Kulumbegashvili, acclamata a San Sebastian nel 2020 con Beginning, con April, storia di un’ostetrica che in un ospedale di campagna pratica aborti sfidando la legge per ragioni umanitarie. Alla latitanza di Matteo Messina Denaro si ispira invece Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (lanciati alla Semaine di Cannes nel 2013 con Salvo), protagonista il camaleontico Elio Germano con...
E venne il giorno di Joker: Folie à deux, con cui Todd Phillips ritenta il colpaccio del Leone d’Oro dopo il Joker del 2019: accanto a Joaquin Phoenix una pirotecnica Lady Gaga (cachet da 12 milioni di dollari) nel ruolo della psichiatra criminale Harley Quinn, tra le più celebri antagoniste della saga batmaniana. A fronteggiarlo in gara Diva Futura della italo-texana e già attrice Giulia Louise Steigerwalt, storia della celebre agenzia del porno creata da Riccardo Schicchi (Pietro Castellitto) ricavata da un romanzo della sua segretaria Debora Attanasio, con Denise Capezza e Lidija Kordić nei panni (si fa per dire...) rispettivamente di Moana Pozzi e Ilona “Cicciolina” Staller...
L’ex-007 Daniel Craig in versione Queer, disperato e tossicomane nell’omonimo film di Luca Guadagnino, è in Concorso tra le performance più attese; dovrà vedersela con Harvest della greca Athina Rachel Tsangari (a Venezia nel 2010 con l’inquietante Attenberg), tratto dal romanzo di Jim Crace, vicenda di riscatto contadino nella tumultuosa Inghilterra del Cinquecento: tra i protagonisti Caleb Landry Jones (a Venezia 80 nel bessoniano Dogman). Fuori gara, il doc di montaggio 2073 dell’angloindiano Asif Kapadia (suo il biopic Amy sulla popstar Winehouse) cerca di ipotizzare come sarà il mondo fra cinquant’anni, con risposte tutt’altro che confortevoli, mentre il belga Maldoror di Fabrice Du Welz si ispira al celebre scandalo giudiziario del “mostro di Marcinelle”, che infiammò il Paese negli anni ‘90...
Peter Weir, classe 1944, il più coerente innovatore del cinema australiano, e Claude Lelouch, classe 1937, leggenda del cinema francese alternativo ma parallelo alla Nouvelle Vague, sono oggi protagonisti con due premi di peso: il primo è Leone alla carriera, e rivedremo il suo ‘epic’ marinaresco Master & Commander: The Far Side of the World (2003) con Russell Crowe; il secondo riceve il Premio Cartier Glory to the Filmmaker e accompagna il suo nuovissimo Finalement, road-movie su un avvocato in crisi identitaria, con Kad Merad, Sandrine Bonnaire e musiche del jazzista Ibrahim Maalouf...
In scena diversi confronti faccia a faccia oggi al Lido. Brad Pitt in un faccia a faccia con George Clooney per Wolfs di Jon Watts, regista dei reboot di Spider-Man più effervescenti, quelli targati Marvel. I divi, due sicari rivali ingaggiati per lo stesso incarico, tornano insieme dopo la trilogia di Ocean di Soderbergh e Burn After Reading dei Coen. Star anche in Concorso per una storia che mette a confronto le vertiginose altezze e le drastiche bassezze di un promettente architetto europeo che si trasferisce negli Stati Uniti...
E se fossero Einstein e Freud a spiegarci il perché della guerra? A dar loro voce, drammatizzando un famoso carteggio tra i due geni, è l’israeliano Amos Gitai, che da sempre filma le laceranti contraddizioni del suo Paese da un punto di vista scomodo, dialettico e colto. Film necessario oggi come non mai, il suo Why War (Fuori Concorso) è stato concepito proprio all’indomani dell’assalto di Hamas e della terribile offensiva israeliana. Anche Campo di battaglia (Concorso) di Gianni Amelio è un racconto di guerra, la prima guerra mondiale vista attraverso gli occhi di due soldati dalle visioni opposte...
Si getta la maschera oggi, alla terza giornata di Mostra. La prima a cadere è quella strettissima dei ruoli e dei generi, parola di Halina Reijn, che già si era fatta beffa della Gen Z col provocatorio horror Bodies Bodies Bodies, e che in Concorso quest’anno promette scintille tra Nicole Kidman e Harris Dickinson, amanti fuori parte (CEO lei, giovane preda lui) protagonisti di Babygirl. La seconda maschera a cadere, e siamo ancora nel territorio scivoloso dell’amore, è quella che dona ai più quella rassicurante impressione di stabilità che ci fa tirare avanti, anche quando niente procede per il verso giusto...
Dal dramma personale a quello collettivo, la seconda giornata di Mostra non fa sconti a nessuno. In Concorso, la vicenda d’arte e d’amore di Maria Callas nell’atteso biopic di Larraín, Maria, con Angelina Jolie nei panni della Divina, raccontata nei suoi ultimi, tragici anni di vita. In controcanto, Fuori Concorso, la tragedia collettiva dei bambini messicani separati dalle famiglie sul confine americano dall’amministrazione Trump, documentata in Separated (Fuori Concorso) di Errol Morris, già vincitore di un Oscar vent’anni...
A volte ritornano. E sorprendono. Ancora e ancora. Parola di Beetlejuice, lo spiritello porcello evocato da Tim Burton e rievocato dopo 36 anni per aprire l’81. Mostra. E parola di Alberto Barbera, che, con all’attivo ben sedici “apparizioni” e conferme di “rievocazioni” almeno fino al 2026, si palesa come il vero spirito della Mostra, il direttore più longevo della storia del festival più antico al mondo...
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