Jeanne Moreau

di Cesare Stradaioli
  • venerdì, 30 agosto 2024

La ragazza terribile del cinema francese. Figura iconica, dal volto e dalle espressioni inconfondibili figlie del suo spirito intimamente ribelle, che ne costituisce la cifra principale e la distingue nettamente da altre prestigiose e fondamentali interpreti del Paese che ha inventato il cinema.
Il viso statuario di Catherine Deneuve, l’espressione tagliente di Juliette Greco, il fascino totalizzante di Fanny Ardant – per tacere di altre – sono elementi recitativi che richiamano immediatamente il profilo artistico di ogni singola attrice. Nel caso di Jeanne Moreau, invece, è esattamente la sua evidente ‘indisciplina’ che la rende unica nel suo genere, capace di rovesciare gli schemi che, ancora fino a pochi decenni or sono, cercavano di racchiudere le interpretazioni femminili all’interno di precisi canoni, stereotipi dai quali poche riuscivano a liberarsi.
Fin dai suoi esordi, dietro la consueta e appunto stereotipata immagine della ragazzina spigliata e leggera, Jeanne Moreau mostra subito le sue inconfondibili espressioni che ti attaccano al muro, nascondendo dietro ruoli apparentemente rispondenti a determinati cliché un carattere perennemente contro, disadattato e perciò stesso adattabile a meraviglia alle necessità di chi sta dietro la macchina da presa. Nella lista di grandi maestri del cinema con cui ha lavorato, tra i suoi preferiti sono da annoverare certamente Orson Welles, Joseph Losey, il mai abbastanza rimpianto Francois Truffaut, Theo Angelopoulos, l’immenso Buñuel.
Arrabbiata, severa, amorevole, dolcissima, cupa, minacciosa, amichevole, mai doma, mai quieta. In una parola: irriducibile.

LA NOTTE

Una coppia borghese in crisi vaga tra locali milanesi e feste mondane in cerca di qualcosa che è ormai svanito. Lui, scrittore, si invaghisce della figlia ventenne dell’industriale che vuole ingaggiarlo per scrivere un libro sulla sua azienda, lei comprende di no...

LEGGI
Jeanne’s Five
Ascensore per il patibolo
(1958)
di Louis Malle

Due amanti diabolici architettano un piano che però si sfascia, perché il diavolo sta anche nei dettagli. È il film di quasi esordio di un certo Louis Malle.

Il diario di una cameriera
(1964)
di Luis Buñuel

Una donna di servizio lascia Parigi ed entra in una casa intrisa di malesseri e ipocrisia, dove quello che si vede non è mai quello che in realtà è e nulla finisce come dovrebbe. Puro Buñuel.

La sposa in nero
(1971)
di François Truffaut

Angoscioso road movie scandito quasi a episodi di una figura femminile come solo Truffaut riusciva a disegnare, con Jeanne Moreau al suo massimo: vendetta (o giustizia?) è fatta.

Mr. Klein
(1976)
di Joseph Losey

Come il gorgo della storia possa trascinare via la vita di chiunque, anche di un algido collezionista d’arte. Strepitoso duetto Delon/Moreau nella Parigi offesa dalla guerra e dall’aridità.

Querelle de brest
(1982)
di Rainer Werner Fassbinder

Each man kills the thing he loves canta Lysiane, sante e tristi parole. Fassbinder uccide sé stesso nella sua opera postuma, una fornace di corpi e tormenti dove si intravede, infaticabile, la morte al lavoro.

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