Il Sensei ritorna a casa. La Mostra del Cinema di Venezia è, infatti, il luogo dove è definitivamente nata la sua popolarità mondiale e dove più volte ha presentato molti dei suoi straordinari lavori.
Sarcastico, provocatore, irridente soprattutto verso sé stesso, ferocemente critico verso il proprio Giappone – dal quale però non si allontana mai a lungo, curiosamente simile a Fassbinder che non lasciava mai la sua odiata e amata Monaco – e malgrado ciò capace di mettere nei suoi film squarci di grande, quanto inaspettata, umanità e altrettanta tenerezza che sistematicamente spiazzano lo spettatore, Takeshi Kitano è universalmente considerato, unitamente a Yukio Mishima nella letteratura, il più influente esponente di una corrente di pensiero tanto critico quanto fortemente anticonformista, specialmente verso una occidentalizzazione della società nipponica giudicata ottusa e alienante.
Per quanto possa sembrare paradossale, “beat” Takeshi nasce come attore comico, anche se in realtà, come ebbe modo di dire a Venews nel corso della conferenza stampa in occasione della sua ultima apparizione in Mostra, lui è prima di tutto pittore, come ci si aspetta che siano i grandi registi cinematografici: i suoi quadri, come l’immancabile mare, rappresentano del resto la cifra di fondo di quasi tutti i suoi film, capaci di rovesciare qualsiasi cliché, stilema o status quo.
«Un sorprendente esercizio di metacinema», così Alberto Barbera ha definito il nuovo lavoro del leggendario regista giapponese. Diviso in due parti, il film si regge su un’inconsueta costruzione narrativa. La prima metà è un violento film d’azione che ruota attorno a ...
Vite perdute e senza senso compiuto che si incontrano al culmine di un surreale e magnifico balletto di uomini e marionette in stile sumo: torna il mare nelle sue tematiche.
Vorticoso e crudele carosello di situazioni in cui nessun protagonista mostra un minimo di umanità, fino al tragico e dolcissimo finale con suicidio in riva all’immancabile mare. Leone d’Oro a Venezia 54.
Di nuovo Kitano mette in difficoltà il pubblico con una coinvolgente vicenda di abbandono e ritrovo: due figure, che più diverse non potrebbero essere, vivono le loro solitudini in un road movie made in Japan.
Freddo, distaccato, quasi afono: un amore solo apparentemente impossibile tra un ragazzo e una ragazza che si legano, non solo metaforicamente, per sempre. Silenziosa e rarefatta poesia.
È davvero cieco il massaggiatore viandante o il suo è solamente un modo per difendersi dal mondo stolto e venale che lo circonda? Pura violenza e umorismo nero che finisce con un formidabile balletto. Leone d’Argento a Venezia 60.