L’elzeviro è un carattere tipografico particolarmente elegante nato nel XVII secolo, ma nel giornalismo italiano identifica un articolo letterario di particolare pregio, in primis adottato dal Corriere della Sera già nel 1900 e presto inserito in terza pagina. Conteneva non solo recensioni teatrali, ma anche riflessioni su temi di attualità o di costume. Maestri riconosciuti: Emilio Cecchi, Dino Buzzati, Tommaso Landolfi, Eugenio Montale e non ultimo Giuseppe Marotta. L’elzeviro doveva avere una qualità: essere breve, di solito due colonne, non proprio un Haiku, ma comunque l’autore doveva avere il dono della sintesi. Di Giuseppe Marotta (Napoli, 1902-1963) molte pubblicazioni sono raccolte di elzeviri. Così L’oro di Napoli, pubblicato da Bompiani nel 1947. Nato in un basso in condizioni di miseria, nelle sue brevi storie rappresenta vicende di strada con arguzia e umorismo, in qualche modo anticipando la commedia all’italiana. Raccoglie trentasei racconti, dove dall’autobiografia si passa a personaggi spesso identificabili o quantomeno a situazioni ben conosciute e precisamente ben delineate, segnatamente di vita dei bassi. Raffaele Nigro ha definito la sua prosa “un ossequio alla teatralità napoletana”.
Tra commedia e tragedia, con un forte impulso al riscatto morale, il duo Zavattini – De Sica si affida all’omonima raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, che a sua volta recupera maschere e situazioni tragicomiche dalla sceneggiata napoleta...
L’oro di Napoli del titolo è la pazienza dei suoi abitanti, incarnato nell’episodio Trent’anni, diconsi trenta, dove il protagonista don Saverio Petrillo per trent’anni ospita a casa un prepotente ma autoritario e autorevole compagno di scuola, che gli aveva garantito la promozione passandogli la soluzione di un compito. Ma, interviene Marotta, «nei fatti del mio paese c’è sempre la coda di un diavolo che guizza e ride». Marotta fu anche un prolifico sceneggiatore e scrittore di soggetti cinematografici, almeno undici, tra cui Soltanto un bacio del 1942 e Mondo nudo di De Feo del 1963. L’oro di Napoli fu anche da lui sceneggiato e divenne un film nel 1954 (anno magico del cinema italiano, ben 166 film prodotti) diretto da Vittorio De Sica. Sei episodi che riprendono dieci dei racconti di Marotta. La partecipazione dei grandi nomi dell’attorialità italiana, da Totò a Eduardo De Filippo, da Sofia Loren a Vittorio De Sica, da Silvana Mangano a Tina Pica, a Paolo Stoppa, concorre in maniera decisiva a costruire la straordinaria resa del film, ben così riassunta dal regista Wes Anderson: «Un capolavoro assoluto. Da quando l’ho visto… per me è stata una vera missione farlo conoscere a tutti. Ha una comicità tra le più pure ed è un vero capolavoro. L’episodio che preferisco è quello con Totò (il don Saverio Petrillo che citavamo), che è il Buster Keaton italiano. Vorrei che questo film venisse visto in tutto il mondo».