Il futuro delle arti immersive

Incontro con Alessandro Redaelli, gamer e regista

di Riccardo Triolo
  • giovedì, 29 agosto 2024

Nelle precedenti edizioni del Daily abbiamo dato voce ad alcuni accademici di rango per capire cosa fossero esattamente le opere immersive XR di Venice Immersive: da Simone Arcagni a Lev Manovich, fino a Bruno Di Marino, tutti con all’attivo studi ponderosi di estetica e arti visive connesse con le tecnologie digitali. Ma non ci siamo. Non ancora. Per capire cosa sia e dove stiano andando le arti digitali narrative immersive, serve partire da una cultura differente. La cultura – o sottocultura, nell’accezione più positiva, ovvio – dei gamers, magari condita di buone basi di cinematografia e pragmatismo mediatico.

Nessuno meglio di Alessandro Redaelli oggi in Italia incarna la figura dell’esperto gamer e del promettente regista, con un occhio critico e una visione chiara sul mondo delle tecnologie visuali immersive applicate allo storytelling intrattenitivo, giocato o meno che sia. Perciò eccoci, Alessandro, illuminaci…
Hai detto molto bene: la realtà virtuale deve necessariamente partire dal videogioco. Il motivo è molto semplice: se in un banale racconto video a 360 o 180 gradi la grammatica propria del cinema viene paradossalmente limitata, l’unica aggiunta realmente di valore all’interno di un contesto VR è quella dell’interazione. Vien da sé che l’interazione porta in qualche modo dalle parti del videogioco, che – forse – dovrebbe a sua volta cambiare “etichetta”, per rivelarsi anche all’elite intellettuale come la forma d’arte, d’intrattenimento e di comunicazione che è.

Dicci in pochi punti come orientare lo sguardo per cercare il bello nei pezzi che vedremo a Immersive. Un bello che sia autenticamente, specificamente bello per le arti digitali narrative immersive…
Non esistono regole. Il mio consiglio, quando esplorate Venice Immersive, è di farvi suggestionare dalle sinossi che leggete e di provare tutto quello che vi capita a tiro. Qualcosa toccherà le vostre corde e qualcosa meno, ma sicuramente non è un’esperienza che vi lascerà indifferenti. Rispetto a come orientare lo sguardo dentro a una singola opera VR, invece, quello dovrebbe essere il compito dell’autore, o dell’autrice dell’opera.

A Venezia cerchiamo nella VR e nelle XR nuove pratiche espressive per trovare nuovi paradigmi estetici?
Vale la pena osservare l’evoluzione della grammatica VR e XR, specialmente da parte degli artisti che sentono la necessità di sfruttare questo specifico mezzo per raccontare le proprie storie. Videogiochi, film ed esperienze VR di valore continuano a uscire e continuano a esser prodotte, semplicemente si è fermato lo sviluppo del lato casalingo e commerciale, che è poi quello che può permettere di tenere in vita un mercato. In questo senso, Venice Immersive è sicuramente uno dei punti cardine della realtà virtuale nel mondo, dato che è possibile vivere esperienze altrimenti irreplicabili altrove.

Cosa deve avere per te un buon pezzo VR che osi trascendere le imposizioni di un mercato sofferente per imporre una visione davvero nuova, che magari spinga oltre anche i limiti del cinema? Facci sognare…
Deve, intanto, dimostrarmi che la realtà virtuale è il linguaggio migliore per quella specifica storia. E quindi deve farmi interagire con lo spazio, deve guidare il mio sguardo in modo intelligente, deve sfruttare l’idea che lo spazio dell’opera sia condiviso dalla mia presenza fisica. Ad esempio, un’opera come Songs for a Passerby, presente a Venezia l’anno scorso, e che sfrutta il movimento del corpo, unito a sensori e mapping della stanza, è un qualcosa di davvero unico e irreplicabile attraverso altri media.

© Alessandro Redaelli

Venezia è ormai il contenitore più importante al mondo di progetti XR. Io però ho l’impressione, fino almeno alla scorsa edizione, che i pezzi ruotino intorno a loro stessi: tutti giocano con la presenza dello spettatore, marcano il punto di vista soggettivo, flirtano con l’identità e il ruolo spettatoriale, non decollano narrativamente. Limiti del mezzo o scarso coraggio?
Un po’ e un po’. La grammatica del medium la stiamo facendo nascere in questo decennio, per cui è normale che in moltissimi – soprattutto chi viene da altri linguaggi – non riescano a trovare una chiave di lettura giustificata dal mezzo. A Venezia ho visto opere molto valide, ma anche molte altre dimenticabili, superficiali o addirittura sbagliate nel contesto della VR. La bellezza di un periodo storico come questo è proprio il fatto che possiamo studiarla fin dagli albori, così come si faceva con il cinema all’inizio del ‘900.

Io continuo a sperare in produzioni coraggiose, indipendenti, che osino, che forzino i limiti del mezzo e finalmente aprano orizzonti inediti. Sto sognando o indosso un visore?
Sono sicuro che quel momento arriverà, ma inizio a non essere così certo che arriverà in un futuro troppo prossimo. Con il mezzo stop della VR commerciale, anche la realtà virtuale sul fronte più puramente artistico potrebbe subire una battuta d’arresto. Ma mai dire mai…

Nell’ultimo video del tuo canale VR Italia hai fatto il funerale alla VR, perchè?
Perché purtroppo, per ora, la VR ha fallito. Non nei suoi output, attenzione, perché lì fuori è pieno di prodotti fruibili soltanto in realtà virtuale straordinari, e capaci di mettere le basi a una nuova grammatica unica, ma ha fallito nella sua funzione più spiccatamente commerciale. Di visori se ne sono venduti pochi, e gli investimenti – almeno nel campo dei videogiochi in realtà virtuale – si stanno dimezzando anno dopo anno. Anche Meta, che è stato forse il player più importante nello sdoganamento della VR al grande pubblico, sta pian piano abbandonando i suoi progetti più ambiziosi, probabilmente in attesa che il mercato inizi a muoversi verso una direzione favorevole. I lavori VR di valore che avevamo fino a 4-5 anni fa oggi sono solo un ricordo; continuano a uscire titoli validi, ma sono prodotti sempre più indipendenti e – soprattutto – sempre più rari.

VR Italia è davvero un canale morto? Cos’hai in progetto?
VR Italia è semplicemente cambiata. Il sito, in realtà, è rimasto online, e ancora – in qualche modo e molto sporadicamente – lo seguiamo sia io che Michael. Sta lì, con le sue notizie e i suoi centinaia di pezzi scritti in anni e anni di lavoro. Vista la direzione della realtà virtuale, però, abbiamo deciso di fare un rebranding a tutti gli altri canali. Oggi ci chiamiamo GameCvlt, perché sentiamo il bisogno di parlare di tutto il mondo del videogioco, senza limitarci a un solo sottogenere, così da poter analizzare e discutere nel dettaglio tutto ciò che riteniamo abbia valore oggi in quel contesto.

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