Il fragile equilibrio

Anne-Sophie Bailly firma un dramma familiare tra amore e dipendenza
di Delphine Trouillard
  • sabato, 31 agosto 2024

È fin dall’infanzia che Mona si prende cura del figlio disabile Joël, ora adulto. Una cura che è tanto un dono quanto una maledizione e li lega in una complessa co-dipendenza. Anne-Sophie Bailly, in concorso in Orizzonti, esplora il delicato equilibrio nella relazione ‘speciale’ tra una madre e un figlio, in un film con protagonista Laure Calamy.

Anne-Sophie Bailly nasce a Besançon e si appassiona molto presto al teatro. Si trasferisce a Parigi per seguire dei corsi per diventare attrice, prima di lanciarsi nella regia a La Fémis, la Scuola di Cinema statale francese. La maternità è un tema che le sta particolarmente a cuore e che è già stato oggetto di due cortometraggi di forme, epoche e linguaggi differenti: La Ventrière, ambientato nel Giura in epoca medievale, ed En travail, che segue le gioie e le difficoltà di una maternità a Montreuil, nella periferia di Parigi. Questo tema si fa spazio nuovamente nel suo primo lungometraggio, Mon inséparable, presentato oggi all’81. Mostra di Venezia e vincitore dello Special Award del Premio Film Impresa.

C’è un’esperienza personale o un evento particolare all’origine della sceneggiatura di Mon inséparable?
Questo film parla di possibili modalità dell’essere genitori e dell’essere figli, questioni che mi tormentano per ragioni personali e che ho cercato di mettere in scena in vari modi. In questo film i personaggi si trovano in situazioni di disabilità, come Yolande, una donna di circa sessant’anni, e sua madre ottantenne, entrambe residenti in una casa di riposo, che ho avuto l’occasione di conoscere qualche anno fa. La loro relazione era estremamente simbiotica e allo stesso tempo molto conflittuale. Il duo che formavano mi aveva colpito perché incarnava il legame di filiazione e della famiglia in generale. All’interno di questo rapporto genitore/figlio, questioni come la sessualità e il consenso emergono in modo diverso. E questo è anche ciò che volevo trattare: come i diritti delle persone vulnerabili vengono affrontati nella nostra società. Il modo in cui una società tratta i propri cittadini disabili dice molto sui valori di cui si fa portatrice.

Laure Calamy
Focus sull'attrice francese a Venezia quest'anno con "Mon inséparable"

Cosa ne ha dedotto e cosa vorrebbe che il pubblico ricordasse di questa storia?
In questo film pongo delle domande, non offro risposte. Cosa determina il diritto di essere genitore? Le persone in situazioni di disabilità sono intrappolate in un tessuto istituzionale e familiare pieno di buone intenzioni, ma allo stesso tempo pervaso di paure e domande. Per le persone vulnerabili, i temi della sessualità vanno di pari passo con le questioni del consenso libero e consapevole, del diritto all’emancipazione e a essere genitore. Si tratta di temi che in Francia sono stati affrontati solo di recente, per la prima volta nel 1996, dal Consiglio Nazionale di Etica, nel contesto della sterilizzazione forzata delle donne con disabilità. Anche se, poco a poco, questi temi vengono approfonditi, restano confinati in una ‘zona grigia’ giuridica e si avverte ancora oggi una grande reticenza nell’affrontare queste questioni. Senza contare il tabù eugenetico che si diffonde e la paura, irrazionale, della trasmissione. Una delle domande essenziali che desidero sollevare è quella sul diritto di decidere che i figli delle persone con disabilità possano esistere.

Questo è il suo primo lungometraggio dopo una serie di cortometraggi. Cosa l’ha spinta a realizzare un film di questo formato?
Il cortometraggio è una forma che si autosostiene, ma per questo argomento avevo bisogno di più tempo, di poter dare maggiore profondità ai miei personaggi, di avere più spazio affinché potessero essere anche contraddittori. Nel montaggio, il film ha trovato la propria forma. Alcune cose potevano sembrare un po’ didattiche nella sceneggiatura, il montaggio ha permesso di semplificarle, di dare al film il suo respiro e di porre, appunto, delle domande. Gli interpreti hanno anche apportato molto al film, essendo semplicemente ciò che sono e facendo proposte. Ne risulta un aggregato di quello che volevo dire e di ciò che loro hanno detto, ma anche di quel che abbiamo deciso di dire insieme. Grazie alla professionalità di ogni interprete, non cadiamo mai nel patetico.

Come è avvenuta la scelta degli attori?
Inizialmente, il personaggio di Mona doveva avere una sessantina d’anni. Durante il casting per il ruolo di suo figlio, la maggior parte degli attori visionati aveva circa trent’anni. Avevo in mente da tempo che Mona avesse avuto suo figlio a vent’anni, così ho deciso di ringiovanirla e ho offerto il ruolo a Laure Calamy, che seguivo da tempo e di cui apprezzavo enormemente il talento di attrice, anche tragica. Insieme abbiamo scelto Charles Peccia Galletto per il ruolo di Joël. Charles è un attore professionista, in situazione di disabilità. Vive da solo ed è molto autonomo, a differenza di Julie Froger che interpreta la sua compagna e invece vive in un istituto specializzato. Entrambi vivono la propria condizione in modo molto diverso. Si avvicinano ai rispettivi personaggi in alcuni aspetti, se ne allontanano in altri.

Cosa rappresenta per lei vedere il suo primo lungometraggio selezionato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia?
È una grande gioia. Prima di essere selezionata dicevo che Venezia era la città più bella del mondo, quindi sono felicissima di andarci, senza contare quanto la storia del Festival mi renda estremamente orgogliosa di parteciparvi. Alcuni dei miei registi preferiti ci sono passati, da Pialat a Cassavetes. Non vedo l’ora che il film incontri il pubblico, di ‘sentire’ la sala e di vedere come risuoni la storia che abbiamo raccontato.

Quali i progetti per il futuro?
Ho due idee in mente, una di queste implica di lavorare nuovamente con attori in situazioni di disabilità, per raccontare qualcos’altro. Mi è piaciuto enormemente sia il lavoro umano sia ciò che ci ha permesso di realizzare in termini di ritmo e di poesia, modi diversi di muoversi e parlare che arricchiscono di materia sensoriale il film.

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