È possibile conseguire una laurea in teatro presso l’università di Boston, apparire in quasi ottanta film, ottenere un Oscar (Still Alice, 2015) dopo varie candidature, qualche Golden Globe, un paio di Emmy Award e, ciliegina sulla torta, essere la seconda attrice dopo Juliette Binoche a completare il grande Slam di premi, vale a dire Orso d’Oro a Berlino, Gran Prix a Cannes e due Coppe Volpi a Venezia e, malgrado tutto ciò, rimanere una delle figure meno appariscenti e chiacchierate di tutto il panorama hollywoodiano? Parafrasando il principe de Curtis, si può dire che sottotraccia si nasce e Julianne Moore lo nacque. E tale è rimasta.
Tanta roba e poco glamour per oltre tre decenni, nel corso dei quali è stata scelta da autori quali Robert Altman, Steven Spielberg, James Ivory, Ridley Scott, Atom Egoyan, per citarne solo alcuni, oltre che dal regista per il quale è stata una vera e propria icona, Todd Haynes, essendo apparsa in ben cinque suoi lavori. A scorrere l’elenco dei registi con i quali ha lavorato non può sfuggire un particolare di notevole rilievo, vale a dire la capacità di ricoprire ruoli di forte intensità emotiva ma anche di grande distacco, oppure – particolare non comune fra le attrici, a quanto pare gli attori ne sono più versati, o forse sono solo più “cercati”, per parti così – parti drammatiche senza però disdegnare figure comiche o grottesche. Per non parlare dell’assoluta disinvoltura (a dispetto della feroce difesa della propria privacy) nell’accettare sequenze di nudo integrale nell’altmaniano America oggi o addirittura la parte di porno attrice in scene di sesso esplicito in Boogie Nights.
Il tutto quasi sempre sfoggiando la caratteristica cascata di capelli rossi, senza mettersi al riparo con i primi piani e ponendo per contro in evidenza senza remora alcuna un profilo non esattamente classico ma a suo modo assai particolare, il che ha contribuito a farne una professionista esemplare. Finalmente torna da noi a Venezia con l’ultimo lavoro di Pedro Almodóvar.
Il rapporto già teso tra Martha (Swinton) e sua figlia va in frantumi a causa di un malinteso che separerà definitivamente le due donne. Ingrid (Moore), scrittrice di best-seller, è testimone di questa faida familiare così dolorosa. Durante una convivenza in una casa immer...
Mentre Harrison Ford e Tommy Lee Jones giocano a guardia e latitante, tra questi due giganti fa capolino una figura esile ma già con sguardi e battute taglienti.
La parabola del porno degli anni d’oro della disco music: il garbatissimo tocco di Paul Thomas Anderson non rende meno arduo recitare la parte di una porno attrice cocainomane.
In quella truppa di matti protagonisti del loro capolavoro assoluto, i Coen bros. riescono a calare in mezzo a loro una figura apparentemente minore e possibilmente più suonata di tutti.
Di nuovo lei, in un’altra vicenda umana dolorosa e angosciosa, gridata e variopinta. Figura quasi eterea, appena visibile, e che però buca lo schermo, eccome!
Nello splendido esordio alla regia di Tom Ford, ecco un’altra sua tipica figura femminile quietamente tenace e inamovibile nel suo impossibile amore.