L’impostore

L'incredibile storia di Enric Marco in un film di Aitor Arregi e Jon Garaño
di Marisa Santin
  • venerdì, 30 agosto 2024

Partendo dall’idea di un documentario, i due registi baschi Aitor Arregi e Jon Garaño firmano e presentano in Orizzonti un avvincente thriller morale con protagonista il tre volte vincitore del premio Goya Eduard Fernández nei panni di Marco e la due volte vincitrice del premio Goya Nathalie Poza nel ruolo della moglie.

​​La vostra idea iniziale era quella di fare un documentario, ma alla fine è diventato un film di finzione. Cosa ha portato a questo cambiamento?
Inizialmente avevamo l’obiettivo di realizzare un documentario su Marco, incontrandolo regolarmente dal 2006. Quando decise di andare in Germania per cercare di ottenere i ‘falsi’ documenti ufficiali, speravamo di filmare il viaggio, ma ha scelto di andarci da solo. Più tardi, ci ha informato che aveva firmato con un’altra troupe cinematografica, quindi non potevamo procedere, pensavamo che il progetto fosse finito. Nel 2010 abbiamo incontrato di nuovo Marco al Festival di San Sebastián e ci ha detto di essere interessato a lavorare con noi. Abbiamo quindi condotto un’intervista di tre giorni, ottenendo quindici ore di riprese. Abbiamo anche scoperto che Javier Cercas stava scrivendo un libro su di lui. Quando Marco ci ha messo in contatto con Cercas, abbiamo scoperto che lo scrittore non era a conoscenza del nostro progetto, il che ha creato un’ulteriore delusione. Ci siamo resi conto che, anche in questo caso, Marco stava mescolando la realtà con la finzione, così abbiamo deciso di creare un film di finzione su di lui.

Volevate che il pubblico provasse sentimenti contrastanti verso Marco? E qual è invece il vostro giudizio su di lui?
Preferiamo che sia il pubblico stesso a farsi una propria opinione piuttosto che essere noi a dare un giudizio su Marco. Ciò che ci ha colpiti in modo particolare è stata la reazione di Marco dopo essersi esposto: anziché ritirarsi o scusarsi, cercava ancora ammirazione, apparendo in tv e mettendo in evidenza i suoi aspetti positivi nonostante le bugie. Il suo bisogno di essere lodato lo portò a creare un’immagine eroica, che conservò anche dopo le verità emerse. Javier Cercas lo paragona a Don Chisciotte, in quanto accomunati dalle loro illusioni, ma a differenza di Don Chisciotte, Marco non abbandona mai il suo ruolo di eroe.

Voi non apparite nel film (a differenza di Cercas), eppure nella realtà eravate ben presenti…
La nostra presenza si riflette in vari modi. Alla fine del film, Benito Bermejo parla di voler fare un documentario su Marco mentre era ancora in vita, sottolineando la sua rilevanza per la società, ciò ricrea in qualche modo le nostre interazioni con lui. La scena dove Marco visita una scuola rispecchia un evento reale, quando partecipò ad un festival cinematografico ed ebbe una conversazione con noi. Nel film abbiamo anche modificato la linea temporale, spostando gli eventi dal 2010 al 2016. In questo modo inseriamo le nostre interazioni nella narrazione del film.

Nella scena finale, una battuta suggerisce che l’arte mescola verità e finzione, anche quando cerca di rappresentare la realtà.  Il cinema, allora, non è una forma d’inganno?
I registi devono condensare anni di storia in poche ore, decidendo cosa includere o escludere. Alcuni dettagli scomodi dell’intervista con Enric Marco, sebbene interessanti, non si adattavano alla nostra narrazione. Il nostro obiettivo è modellare la verità in modo che abbia un riscontro con il pubblico. Anche se l’arte riflette la realtà, è sempre personale e non una copia esatta. Il nostro film inizia come un documentario e poi diventa finzione, talvolta rivelando verità più profonde della realtà stessa. I temi della vanità e dell’ammirazione di Marco sono resi meglio attraverso la manipolazione cinematografica piuttosto che con un commento diretto.

C’è naturalmente qualcosa di unico nella personalità di Marco, eppure il desiderio di essere una versione migliore di se stessi riguarda tutti…
Certamente. Marco è un personaggio complesso e facile da giudicare, ma il nostro obiettivo è quello di fare un film che crei dibattito piuttosto che giudizio. Il desiderio di essere il meglio di noi stessi è universale e, sebbene Marco l’abbia portato all’estremo, riflette un tratto umano comune. Javier Cercas paragona Marco a Don Chisciotte: nonostante l’inganno, la sua brama di ammirazione è un sentimento riconoscibile e profondo. Come registi, siamo attratti da storie che esplorano esperienze umane fondamentali e universali.

In che modo l’affermazione di Marco «Non ho fatto del male a nessuno» riflette il suo retaggio storico?
Marco sosteneva di non aver tratto profitto finanziario dal suo inganno e di aver sensibilizzato l’opinione pubblica sui deportati spagnoli, un contributo reale che evidenziamo nel film. Tuttavia, sentiva che questo giustificava le sue azioni, nonostante non fosse stato in un campo di concentramento. Il film esplora il tema della verità nell’era della post-verità, mostrando come Marco confronta la sua prigionia con le esperienze dei deportati, specialmente nelle scene finali dove difende la sua versione della verità contro le critiche di altri, come Benito Bermejo.

Con quindici ore di interviste e tutti i vostri incontri con Marco, quali sono i vostri piani per questo materiale?
Non ci abbiamo pensato molto, poiché eravamo concentrati sul film di finzione. Abbiamo usato il filmato per capire meglio il personaggio e per aiutare Eduard Fernández, il nostro attore principale, a interpretare Marco nel modo più autentico possibile. Anche se non abbiamo ancora deciso nulla in merito ad un uso specifico in futuro, il materiale rimane prezioso e potrebbe essere utilizzato per progetti futuri.

Cosa vi aspettate dalla premiere del film?
Speriamo che il film serva da stimolo a discussioni, poiché il potere del cinema sta proprio nello stimolare conversazioni su figure complesse come quella di Enric Marco.

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