Molte le ragioni per leggere o rileggere The Big Heat di William P. McGivern (1918–1982). Scrittore di noir e polizieschi non eccessivamente prolifico; una ventina circa i suoi racconti, alcuni sotto pseudonimo, ma tutti di scrittura accurata. Spesso venivano pubblicati a puntate su quotidiani, nel caso di The Big Heat sul The Saturday Evening Post; come per i feuilleton di Honoré de Balzac, era un utile strumento per creare attesa nel pubblico, ma ogni puntata doveva lasciare i lettori nella suspense, in attesa del numero successivo. Di questi racconti ben nove sono stati adattati per il cinema. La scrittura di McGivern tuttavia riesce a restituire fatti, movimenti ed emozioni in maniera forse più viva della scrittura filmica. La storia è semplice: un onesto poliziotto scopre la rete criminale che avvolge la città. Per tentare di fermarlo arriveranno ad ucciderne persino la moglie.
Dopo il suicidio di un agente di polizia, un collega cerca di investigare sull’accaduto, ma si trova di fronte ad un muro di gomma da parte dei superiori. Scoprirà una vasta rete di corruzione che lega i vertici della polizia con la ...
Ma ovviamente riuscirà a vincere con l’aiuto dell’amante del cattivo, che così si potrà riscattare (tipico della morale americana di quegli anni), scatenando così il The Big Heat del titolo, che in gergo indica una energica attività della polizia contro la malavita. Se prendiamo il capitolo 17, completamente trascurato nella trasposizione filmica di Fritz Lang del 1953, nel momento della rivelazione delle carte compromettenti per il capo della malavita la città si risveglia, si accendono le luci al mattino: «Men with suddenly stricken faces looked at worried wives, or bored sleepy girls and the some of them took sedatives and other took stimulants and a few began packing bags…». Le immagini si formano qui nitide e molteplici nella nostra testa di lettori come nessuna sequenza filmica potrebbe rendere. Sempre rimanendo alla morale di quei tempi, che proibiva il turpiloquio, un quiz: la moglie del poliziotto riceve una sgradevole telefonata di minacce e al marito, che le chiede chi era e che cosa le avesse detto, risponde che questo è stato il messaggio di saluto che ha ricevuto: «You can fill in the four letter words, I guess», ma nel film in italiano le lettere diventano sette…
Per pura cronaca: il racconto venne scritto in soli ventun giorni in un albergo di Piazza di Spagna a Roma, città ove McGivern visse un anno, amando tutto dell’Italia, “tranne le tasse”.