Leni Riefenstahl, cineasta di punta del Reich, celebra nei suoi film gli ideali nazisti della perfezione del corpo e della superiorità, disprezzando la debolezza e l’imperfezione. Andres Veiel racconta la regista tedesca nei complessi legami con il governo di Hitler e nella...
Nella sezione Fuori Concorso troviamo Riefenstahl, il documentario di Andres Veiel sulla vita e la carriera di Leni Riefenstahl. Ci si chiede se ci sia bisogno di un altro lavoro che illustri la lunga vita della straordinaria cineasta tedesca (è morta a 101 anni nel 2003), i suoi capolavori, il suo ruolo decisivo all’interno del processo di costruzione dell’immaginario estetico del nazismo, quel processo di cocciuta rimozione che lei pose in essere per più di mezzo secolo relativamente ai suoi legami con Hitler, Goebbels e la nomenclatura nazista. Perché non credo che a nessun altro regista al mondo sia stato dedicato, come è stato dedicato a lei, un corpus di libri, saggi, documentari così ampio, così articolato e così disperatamente finalizzato a risolvere le contraddizioni insite nella sua personalità di regista e di personaggio pubblico. Di fronte ai suoi film, in particolare Il trionfo della volontà del 1935, che illustra il raduno del Partito Nazionalsocialista a Norimberga nel 1934, ed Olympia, che documenta i Giochi olimpici di Berlino del 1936, rimaniamo letteralmente mesmerizzati dal suo enorme talento visivo. Nessuno aveva fino ad allora ripreso masse e corpi con quella spietatezza fotografica, con quella vocazione all’estasi della visione con cui Riefenstahl ha rappresentato quegli eventi.
Accanto al suo talento, dietro c’era l’industria tedesca del cinema, con i suoi produttori di lenti, i laboratori fotografici, le maestranze di fotografi, operatori, tecnici da lei coordinati come un esercito obbediente e devoto. Ciò doverosamente detto e ribadito, non vi può però essere dubbio alcuno che la regista tedesca non solo abbia stabilito lo standard estetico delle riprese sportive, ma anche lo standard iconografico del regime nazista, fondendo la sua arte e il suo talento nel cinema con quello architettonico di Albert Speer nell’edificazione dell’estetica del Terzo Reich per quel che riguarda le scenografie dei raduni di massa nazisti. E non ci si stupisce quindi che Goebbels, ad un certo punto, fosse diventato geloso di lei come di una pericolosa concorrente nella costruzione della propaganda del regime.
Leni Riefenstahl, anche a distanza di 70 anni dai suoi capolavori, rimane ancora una figura inesplicabile, e sarà per questo che si continua a dedicarle lavori e riflessioni come questo ultimo documentario di Andres Veiel. È un fatto che di fronte alle argomentazioni a difesa della sua rivendicata estraneità al nazismo rimaniamo a dir poco interdetti e basiti: affermare che «io ho solamente fotografato e trasformato in cinema i soggetti, la materia: che si trattasse di politica, di frutta o verdura, non me ne importava nulla» è un assunto del tutto irricevibile e attiene più che ad una difesa del suo operato, ad una totale rimozione del ruolo fondamentale che svolse negli anni ‘30 nel consolidare nell’immaginario collettivo la presa estetica del regime hitleriano. Ma poi guardiamo e riguardiamo i suoi film e continuiamo a rimanerne stregati.