Numeri da record per l’edizione 2024 della Settimana Internazionale della Critica, con nove titoli scelti tra oltre 700 provenienti da ogni parte del mondo. Un mondo in cui spaesamento e sospensione sembrano regnare incontrastati e di cui il cinema si fa strumento di comunicazione urgente, con titoli diversi tra loro che dialogano grazie al principio dell’attrazione degli opposti, come ci racconta la Delegata Generale Beatrice Fiorentino.
Dal programma SIC emerge un cinema che più che offrire risposte, regala dubbi capaci di stimolare la curiosità dello spettatore, animandone lo sguardo attento. Cosa avete cercato e trovato nei titoli selezionati quest’anno?
Lavoriamo senza preconcetti, aperti alla scoperta e alla sorpresa, con la stessa premessa irrinunciabile degli anni passati: restare il più possibile connessi con il presente del mondo, provando a ipotizzare le tendenze più interessanti per il futuro del cinema. In questo modo restiamo riconoscibili e coerenti schivando il rischio di diventare prevedibili o ripetitivi. Abbiamo trovato nove film dal tratto deciso, figli dei tempi in cui viviamo, che ne rispecchiano – ciascuno a suo modo – lo stato di incertezza, la tensione, lo spaesamento, la precarietà, l’attesa.
Da sempre la SIC si è dimostrata sezione aperta all’avanguardia, senza preclusioni di sorta: come critica cinematografica, tuttavia, crede che esistano dei capisaldi dai quali non si può prescindere, nella valutazione di un film?
Credo sia necessario avere riferimenti solidi, un bagaglio di visioni quanto più possibile esteso da utilizzare come una bussola, ma è altrettanto fondamentale avere la capacità di contestualizzare ogni singola opera e dimostrare l’apertura mentale necessaria ad assimilare quanto il cinema sia materia viva, in continua evoluzione. Il cinema che si produce oggi nasce in un quadro completamente differente rispetto al passato, non ha senso adottare gli stessi criteri di valutazione che si applicavano anche solo vent’anni fa. Non bisogna avere paura di cambiare. Può essere spiazzante, lo so, ma è importante aggiornare il proprio sguardo alla stessa velocità con cui anche il canone si aggiorna.
Homegrown è l’unico documentario in programma quest’anno, dedicato ad un appuntamento (le elezioni americane) che a novembre di quest’anno vivrà una tappa cruciale. Quali i motivi di questa scelta?
L’anno scorso dei nove titoli a disposizione ben quattro erano non-fiction, che secondo stili e approcci molto diversi restituivano lo stato di vitalità del cinema documentario degli ultimi anni. Superfluo ribadirlo: il documentario è cinema, quando la proposta è forte non saremo certo noi a mettere paletti. È esattamente il caso di Homegrown, che si inserisce nella migliore tradizione del documentario civile americano grazie alla straordinaria capacità di fotografare una realtà agghiacciante senza esprimere giudizi, mantenendosi sempre alla giusta distanza, guardando dritto in faccia le contraddizioni e la fragilità delle moderne democrazie. Una questione che ci riguarda tutti molto, molto da vicino.
SIC@SIC è sezione dedicata ai cortometraggi italiani che sempre più e sempre meglio cammina sulle proprie gambe. Che strada crede abbia imboccato il cinema del futuro?
La cosa che più mi colpisce è che questi giovani autori e autrici non hanno la minima paura di rischiare. Si muovono in un territorio di assoluta libertà che spero continueranno a frequentare e approfondire anche nel naturale passaggio al lungometraggio. Sarà determinante, nell’inseguire un processo di salutare rinnovamento in futuro.
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