Segnali dal futuro

Incontro con Gianni Canova Presidente di Giuria Opera Prima
di F.D.S.
  • giovedì, 5 settembre 2024

Gianni Canova nel ruolo di Presidente di Giuria Opera Prima è stata una scelta rivendicata con orgoglio da Alberto Barbera, che ne ha elogiato lo sguardo competente, intelligente e libero, lontano dai sentieri dell’omologazione critica sempre più diffusa. Lo abbiamo intervistato per discutere del cinema presente e soprattutto futuro, tra solide convinzioni e forti auspici.

Da Presidente della Giuria Opera Prima, che premia il miglior lungometraggio d’esordio presente nelle diverse sezioni della Mostra, ci può illustrare le regole che detta giuria si è data per funzionare al meglio?
La Giuria Opera Prima valuta, per l’appunto, le opere prime di tutte le sezioni del festival: Concorso (anche se quest’anno non c’è nessuna opera prima), Orizzonti, Orizzonti Extra, Settimana della Critica, Giornate degli Autori, per un totale di una ventina di film, suddivisi in una media di tre al giorno. Non li analizziamo subito dopo la visione, lasciandoli decantare qualche giorno. Ci siamo dati tre momenti di incontro e confronto prima della riunione finale decisiva. Di riunione in riunione analizziamo ogni opera e mettiamo da parte quelle che ci sembrano meritevoli di una considerazione ulteriore. Tenga conto che, a differenza delle altre che hanno a disposizione un rilevante numero di premi, la nostra giuria assegna un premio ‘secco’ che prevede l’assegnazione di 100.000 dollari. Il criterio di base che ci siamo dati è che il nostro compito non è tanto quello di delineare una cartografia dell’esistente, quanto quello di semplicemente premiare i possibili talenti del futuro. Non ci basta, insomma, la nobiltà dei contenuti: vogliamo visioni di un cinema futuro.

Confrontiamo l’opera prima di cinquant’anni fa di Nanni Moretti, Io sono un autarchico, con le opere prime di oggi, come, ad esempio, Aftersun, della giovane regista scozzese Charlotte Wells, o April, di Dea Kulumbegashvili. Sono due maniere opposte di concepire un’opera d’esordio, dato che quelle di oggi nascono già come film perfetti, in perfetto autocontrollo, senza nessun difetto di gioventù. Cosa è cambiato in questi cinque decenni? Possiamo studiare l’opera prima come fosse un genere che si modifica nel tempo, oppure è solo il prodotto individuale di un talento individuale?
L’opera prima è modellizzabile in base al momento storico, soprattutto per quel che riguarda i meccanismi produttivi. Le opere prime di qualche decennio fa, quando il cinema era meno assistito, potevano osare l’indipendenza con più determinazione di quanto possa avvenire oggi. Le problematiche oggi connesse alla produzione di un film, ricerca delle risorse economiche in primis, sono così complesse da spingere i debuttanti a cercare subito per i propri lavori una forma compiuta. Per quanto riguarda il mio gusto personale, se debbo scegliere tra un compito ben fatto ma che percorre strade già battute e un’opera prima imperfetta ma di grande talento, sceglierò sempre la seconda.

Se andiamo a vedere l’età dei recenti vincitori del Premio Opera Prima vediamo che comunque si tratta di autori che hanno compiuto i quarant’anni. Possiamo tranquillamente affermare che a quarant’anni nel cinema si è oggi ancora giovani?
Non è mai una questione anagrafica, l’anagrafe è sempre una questione mentale. Certo, è vero che il cinema, anche quello italiano, nel suo periodo più intenso aveva una politica che facilitava l’ingresso dei giovani talenti molto più di quanto non accada oggi. Chi governa il sistema qualche domanda dovrebbe perciò farsela…

GIuria Opera Prima Premio Luigi de Laurentis © Andra Avezzù, La Biennale di Venezia

Come rettore dello IULM, docente di cinema nella stessa Università, e presidente del Comitato Scientifico del Centro Sperimentale di Cinematografia, cosa ci può dire sulle procedure d’ingresso dei giovani nel mondo del cinema? Alla Mostra vediamo migliaia di giovani appassionati di cinema e sorge quindi spontanea la domanda: quanti di questi potranno realmente vivere di cinema?
Innanzitutto bisogna pensare al cinema come ad uno degli elementi del comparto audio-visivo; metabolizzato questo necessario passaggio, è indubbio che le prospettive occupazionali allora aumentino sensibilmente. È necessario che Università e scuole comincino a capire che devono creare dei buoni tecnici, degli ottimi professionisti, non il Wim Wenders della Garbatella o il David Lynch di Quarto Oggiaro. Quando leggiamo, per esempio, che il primo corto di 4 minuti è definito come “il primo film di …”, allora si capisce bene che il narcisismo autoriale fa davvero dei seri danni. Mentre preparare un professionista in grado di affrontare le produzioni meno autoriali, meno raffinate, ma che concorrono egualmente a determinare lo sviluppo di quell’industria audiovisiva cui accennavo prima, ecco, questo sì mi sembra che dovrebbe essere un dovere, un obiettivo prioritario per chi si occupa di formazione.

Il cinema sta diventando un mestiere di massa, come il design: non è più la professione di qualche grande maestro circondato dai suoi tecnici preferiti. Bisogna fare i conti con questo passaggio decisivo, che ha esteso a dismisura il perimetro del cinema tradizionale, inserendovi i videogames, le serie, le piattaforme streaming, i nuovi media. Da questo punto di vista Venezia compie davvero un tragitto circolare attraversando le polarità opposte di questa industria: da una parte i Classici restaurati, dall’altra Venice Immersive. Cosa pensa del ruolo della musica nel cinema?
Qui a Venezia, in questi giorni, visionando decine e decine di film ho molto riflettuto sull’importanza della musica nel cinema: un uso troppo banale o scontato del suono rovina un film, mentre una musica raffinata può esaltare a dismisura le sensazioni di piacere. La musica può condizionare moltissimo la chimica delle emozioni. Credo che la Biennale dovrebbe porsi seriamente la questione di istituire un premio ufficiale alla colonna sonora.

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