Nonostante_Nel film di Mastrandrea, coraggioso (ma con un po’ troppe piccole cadute di stile per la difficoltà di rinunciare alla propria cifra pubblica), confessiamo che la colonna sonora di Tóti Gunason ci ha un po’ deluso. Dopo quello stranissimo film che era Lamb, ambientato in Islanda e vero inno al post-umano, Tóti Gunason, fratello della stella delle colonne sonore Hildur Gunadóttir, scrive una musica che, quando c’è, è davvero molto bella: lastre sonore che riescono a trasmetterci un senso di epica bellezza, ma che purtroppo ci sembra sia stata messa in second’ordine da un ricorso a nostro avviso eccessivo a canzoni preesistenti. Vero che la cover dei C.S.I. di Noi non ci saremo, una torch song di Edoardo de Crescenzo e Cosmic Dancer dei T. Rex, insieme ad un’altra manciata di canzoni molto orecchiabili, definiscono ed esaltano musicalmente i momenti del film, ma avremmo preferito che la musica di Tóti Gunason avesse uno spazio maggiore.
Una situazione sicura, lontana dal caos e dagli imprevisti della vita quotidiana, al riparo da tutto e da tutti: il protagonista è un paziente ricoverato da tempo che trova nella routine ospedaliera una personalissima comfort zone, in cui rassegnazione e apatia divengono libe...
Dopo Jackie (2016), su Jackie Kennedy, e Spencer (2021), dedicato a Lady D, il regista cileno ha portato al Lido di Venezia l’ultimo capitolo di una trilogia di biopic su donne che hanno fatto la storia. Angelina Jolie interpreta la più grande cantante d’opera di tutti i ...
Maria_Quando si realizza un film sulla vita di un’artista che l’ha consacrata al Divismo Assoluto, o si individua una chiave di lettura, una interpretazione complessiva (ho in mente operazioni come la rilettura fatta da Todd Haynes con Io non sono qui sulla vita di Bob Dylan), oppure la scelta di affrontarla in modo finzionale ma rispettoso e succube porta ad un effetto dirompente di mainstream. E questa è la sensazione che si riceve dal film di Larraín: tutto in ordine, tutto analizzato in modo corretto, ma c’è una sensazione di ortodossia troppo plateale, di operazione appunto mainstream (cosa che non mi sembrava si potesse dire dei film precedenti di Larraín su Jackie Kennedy e lady Diana, che comunque vivevano di un’idea di base, di un punto di vista). E nel film accade in quantità industriale quello cui non avremmo mai voluto assistere: Maria Callas che prova a casa sua quelle arie che le diedero i più grandi trionfi, per ritrovarci subito dentro a quelle serate, nei teatri di tutto il mondo, con la Jolie vestita da Anna Bolena che canta a gola spiegata. Ecco, una cosa del genere va anche oltre il mainstream: secondo noi supera i confini del porno…