Tim Burton

di Andrea Zennaro
  • mercoledì, 28 agosto 2024

Per avere un’idea della vastità dell’opera di Tim Burton non basta parlare del suo cinema: come altri registi suoi contemporanei, si pensi a Lynch e Cronenberg, le immagini in movimento sono solo una delle forme d’espressione, sia pure la prevalente, usate per esprimersi. Inizia da giovane intercalatore nella realizzazione del film d’animazione Disney Red e Toby nemiciamici del 1981 ma, trovato non adatto perché i suoi disegni erano troppo ‘mostruosi’, viene indirizzato a fare qualcosa di più personale. Il suo universo attinge da molteplici fonti che vanno dai film di Roger Corman con protagonista Vincent Price, a cui dedica il suo cortometraggio stop-motion Vincent del 1982, al gotico La maschera del demonio di Mario Bava omaggiato ne Il mistero di Sleepy Hollow (1999), che celebra anche i lavori della britannica Hammer Film Productions.
Il regista californiano ama i film di Bava e di conseguenza quelli di Dario Argento, apprezza Fellini e allo stesso tempo i film giapponesi con i mostri giganti (kaiju) e l’espressionismo tedesco dalle simmetrie sghembe alla Caligari, ma ha nel cuore l’animazione stop-motion del maestro ceco Jan Švankmajer, di quello statunitense Ray Harryhausen e dei fratelli Quay: il suo capolavoro Nightmare Before Christmas del 1993 porta ad un livello altissimo questa tecnica cinematografica, alla quale tornerà più volte nel corso della carriera.
Occorre aggiungere l’arte dello scrittore ed illustratore Edward St. John Gorey, dei fumettisti Charles Addams, Don Martin, Dr. Seuss e del pittore Mark Ryden per poter avere un quadro che delinei la poliedrica ed eclettica figura di Burton. Nella sua mostra itinerante, partita nel 2009 dal MoMA di New York, l’intero universo del regista è facilmente visionabile: si passa dalle Polaroid di formato 20×24 pollici dal sapore surrealista che realizza tra il 1992 e 1999 alla pittura e ai marchingegni meccanici come il Robot boy dalla serie animata Stainboy del 2000.

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