La mostra “The Sweet Mistery” alle Procuratie Vecchie è un’occasione irripetibile per compiere un viaggio emozionale attraverso sei decenni del poliedrico percorso artistico di uno dei protagonisti della pop art, conosciuto dai più per la serie iconica LOVE.
Quando ci si avvicina alla Pop Art il rischio è sempre quello di assecondare una certa disposizione per così dire cool, quasi a ricercare nelle sue espressioni più riuscite, ma anche in quelle meno felici, una sorta di immediatezza da copertina, su cui poi attorno e al di sotto ricamare trame concettuali, non di rado improbabili, nella finalità di dare consistenza profonda a una percezione per così dire “facile” di questi lavori, di queste opere apparentemente leggibili ai più. Insomma, tra tutte le correnti artistiche del Novecento, la Pop Art è come se necessitasse di più livelli di lettura, quasi non ci si capacitasse, non ci si accontentasse della sua a tratti spettacolare immediatezza. Che siano le serigrafie di Marilyn, di Mao, della Campbell’s Soup di Warhol o quelle multiple di Rauschenberg, che siano le bandiere e i bersagli di Jasper Johns o invece le opere fumettistiche di Roy Lichtenstein, pur con tutte le profonde differenze stilistiche ed estetiche che separano questi artisti e i loro lavori, al loro cospetto si vive sempre un’urgenza di scavare sotto l’immediatezza quotidiana, da entertainment mediatico, della loro resa finita. Uno scavo spesso vano, talvolta pretestuoso. Sì, perché questi lavori spesso possono bastare per quello che dicono ora e qui, anche intendo; perché è proprio nell’immediatezza di restituire il prosaico vivere il quotidiano dei consumi che riposa la loro prima, se non sempre primaria, essenza. Eppure, tra tutti i protagonisti di questa straordinaria stagione artistica ve ne sono alcuni che davvero utilizzando un linguaggio iconicamente pop parlano più di altri del recondito interiore e del personale politico, della complessità esistenziale e dei turbamenti sociali. Tra questi forse il più radicale a riguardo è stato Robert Indiana, protagonista di una straordinaria personale, Evento Collaterale della 60. Biennale Arte alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, dal titolo Robert Indiana: The Sweet Mystery, tratto da uno dei primi dipinti in cui Indiana ha inserito le parole, una pratica che caratterizzerà larghi tratti della sua carriera. «Questa mostra esplora con meticolosa maestria l’uso che Indiana fa dell’autoreferenzialità per indagare profonde questioni metafisiche sulla natura della vita. Integrando nelle sue opere dettagli biografici intricati, Indiana crea non solo una narrazione personale, ma sottolinea anche i legami duraturi con i movimenti artistici radicali del passato in America. Attraverso una selezione tematica di opere, la mostra funge da portale che introduce una nuova generazione di spettatori alla prospettiva Pop peculiare e trascendentale di Indiana, mentre affrontano i loro pressanti dilemmi esistenziali in questo secolo». Nulla più di queste eloquenti parole del curatore Matthew Lyons potrebbero restituire al meglio la cifra estetica, poetica, più estesamente culturale di questo straordinario protagonista dell’età aurea dell’arte contemporanea americana del secondo Dopoguerra. Conosciuto dai più per la serie iconica LOVE, la mostra è un’occasione irripetibile per compiere un viaggio emozionale attraverso sei decenni del suo poliedrico percorso artistico, con l’opportunità di avvicinarsi ad alcune a dir poco significative opere giovanili, alcune delle quali rarissimamente esposte.