(2023, USA, 80')
Dopo una ‘deriva’ più mainstream rappresentata dagli ultimi due film, Spring Breakers (2012), selezionato per il Concorso a Venezia, e Beach Bum (2019), Harmony Korine torna dietro alla macchina da presa per confezionare un’opera di videoarte che vede il debutto cinematografico del rapper Travis Scott, fenomeno mondiale da oltre 45 milioni di dischi venduti, diventato un vero e proprio brand dal fatturato stellare. Un’affascinante fotografia a infrarossi evoca il ritratto allucinato di un assassino tormentato, in questa sensuale elegia sperimentale di Harmony Korine che mette a punto una esperienza sensoriale surreale e psichedelica, deformando la percezione delle immagini tramite l’uso dei colori e amplificando l’atmosfera grottesca del film con una colonna sonora martellante dagli echi techno.
Tra i registi indipendenti americani più controversi in assoluto, Harmony Korine fin dalle sue prime opere è stato in grado di cambiare l’esperienza cinematografica, approcciando un cinema più sperimentale e addentrandosi oltre i confini della video arte. Un’estetica innovativa che lo caratterizza già dal debutto alla regia con il crudissimo cult movie Gummo, presentato alla Settimana della Critica nel 1997. Due anni più tardi, sempre al Lido, presenta il suo secondo lungometraggio Julien Donkey-Boy (1999), girato secondo i dettami del manifesto Dogma 95. A Venezia, è presente anche alla Biennale Arte: nel 2003 con la serie di manifesti d’artista Untitled e nel 2011 con il cortometraggio Caput interpretato da James Franco.