Largamente acclamato e riconosciuto tanto dal mondo dell’architettura (da poco nominato Dean del Columbia GSAPP) quanto da quello dell’arte (la sua dirompente mostra sulla standardizzazione IKEA è stata acquisita dal MoMA dopo aver ottenuto il Leone d’Argento), Jaque fa dell’architettura un atto politico non-ideologico. Tre le chiavi interpretative: l’idea di “spazio” lascia il campo al tema della “composizione”, dove la composizione non è quella estetica, delle forme, ma è «una pratica cosmopolitica che si dedica ai modi in cui corpi, tecnologie e territori sono costruiti come interconnessi e indipendenti »; centralità dei dispositivi relazionali: non tanto in senso funzionalista, quanto in senso organico, di alternativa al delirio urbanistico in cui abitiamo, consci che la tabula rasa non esiste non essendo percorribile, e che quindi è solamente concentrandosi su quel che c’è che si possono pensare, elaborare alternative più congrue alle esigenze di un vissuto insediativo dignitoso di una data comunità; l’architettura infine, terza e ultima chiave, deve essere “trans”: transscalare, transspecista, transmediale, una transizione continua di tempi, spazi e materialità al fine di prefigurare un presente “più che umano”.