La fondatrice dello studio collettivo Counterspace, Sumayya Vally, e l’artista e curatore Moad Musbahi raccontano attraverso opere video, mostre, scritti e architetture i territori africani e islamici ibridi in cerca di una propria espressione, concentrandosi spesso su luoghi periferici o marginali come le discariche delle miniere. Le loro pratiche convergono sulla necessità di intersecare l’arte con la giustizia sociale, l’archivio e l’ecologia, prediligendo una narrativa alternativa per i luoghi trascurati e dismessi, facendone emergere l’aspetto sacro e rituale e le dimensioni performative e animiste. L’architettura così intesa, a differenza di come in passato sia stata sin troppo praticata come strumento per separare e segregare, può ora agire da aggregante inclusivo, da amplificatore di identità multiple.