Se il Matto se ne va

Le variazioni contemporanee di Tim Crouch su Re Lear
di Livia Sartori di Borgoricco
tim crouch

Linguaggio essenziale ma evocativo, ambienti minimali, poche immagini ma molta immaginazione, alla 52. Biennale Teatro il grande attore, regista e drammaturgo inglese Tim Crouch presenta in anteprima italiana il suo “Truth’s a Dog Must to Kennel”.

Tim Crouch torna a Venezia con la prima italiana del suo ultimo spettacolo “Truth’s a Dog Must to Kennel” (2022). Crouch, classe 1964, già vincitore di un Obie Award (l’oscar del teatro Off Broadway) è attore, regista, drammaturgo di fama internazionale. Soprattutto, però, Tim Crouch è inglese, e in quanto tale, per sua stessa ammissione, necessariamente «tutto inizia con William Shakespeare. La sua influenza può essere avvertita nel modo in cui scrivono tutti i drammaturghi, ancora oggi, e come scrittore non faccio eccezione». Celebri e premiate sono le sue riscritture del Bardo, come I, Shakespeare, un insieme di cinque monologhi per il pubblico giovane che sono veri e propri spin-off delle tragedie e delle commedie shakespeariane, o The Complete Deaths messo in scena con gli Spymonkey, in cui vengono rappresentate sul palco tutte le 75 morti descritte nelle opere del Bardo, compresa la mosca schiacciata da Tito Andronico. Più in generale, i lavori di Crouch, pur nella loro diversità, sono accomunati da un’instancabile sperimentazione di forme teatrali anti-rappresentative che esplorano a fondo la questione del rapporto con lo spettatore, messo al centro dell’esperienza teatrale. Spazio quindi a linguaggio essenziale ma evocativo, ambienti minimali, poche immagini ma molta immaginazione, creando una drammaturgia che è considerata una delle punte della ricerca teatrale britannica contemporanea. In uno dei suoi spettacoli più celebri, An Oak Tree, il secondo attore in scena è un membro del pubblico scelto a caso ad ogni replica, e senza di lui o di lei lo spettacolo non potrebbe esserci, rispondendo al tentativo di Crouch di generare un senso di autorialità nel pubblico «perché credo che così sia molto più interessante». Shakespeare, dicevamo. In Truth’s a Dog Must to Kennel Crouch sale sul palco e munito di un (finto) visore VR entra in un teatro virtuale, dove sta andando in scena un classico King Lear. Un pubblico finto sostituisce un pubblico vero, mentre l’autore racconta quello che vede agli spettatori in sala chiedendo loro uno sforzo di immaginazione collettiva. Non è ancora arrivato l’intervallo quando il Fool, il buffone di corte che accompagna Lear (ma nella traduzione italiana del termine si perde il doppio registro di buffone/follia), lascia il palcoscenico. Il personaggio se ne va prima che il mondo venga distrutto. Prima che il re venga accecato. Perché Shakespeare lo fa sparire nel bel mezzo dell’opera? Era perché non riusciva a salvare il mondo con una risata? L’idea di Crouch è che se ne sia andato perché ne aveva abbastanza. Truth’s a Dog Must to Kennel (verso che proprio il Fool pronuncia nel primo atto del Re Lear) è una sprezzante e divertente riflessione sul futuro del teatro, sui lockdown e sull’eccessiva digitalizzazione, una pièce che si chiede cos’è diventato il teatro dopo la pandemia: è come uscire da una caverna nelle quale siamo stati rinchiusi ed esplorare il nuovo paesaggio che ci troviamo di fronte.

Immagine in evidenza: Truth’s A Dog Must to Kennel- Photo Stuart Armitt

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