Cento scatti raccontano la trasformazione radicale della psichiatria italiana, documentando l’apertura dei manicomi e la costruzione di un nuovo modello di cura. Un viaggio visivo che unisce arte, denuncia e proposta, ospitato nella sede di Emergency alla Giudecca, luogo simbolo dell’impegno sociale.
«Fotografare per denunciare è più facile che documentare la proposta». Con questo stringente enunciato, con questa sorta di aforisma asciutto e per niente compiaciuto, potrebbe essere fermato il senso profondo e intenso di questa mostra nel crepuscolo finale del centenario della nascita del mai troppo compianto Franco Basaglia. È parte di una frase, poco più lunga, che il grande psichiatra veneziano rivolse al fotografo bresciano Gian Butturini all’atto di coinvolgerlo nella rivoluzionaria, e per una volta l’aggettivo è davvero non sprecato, trasformazione dell’idea di casa di cura mentale da lui portata avanti prima a Gorizia e poi a Trieste, sortita nella apertura, e quindi nella loro “chiusura”, dei manicomi, aprendo il mondo libero a dei malati sino ad allora reclusi, internati. «Perché non vieni a Trieste. Potresti fare un buon lavoro. Tutto il Paese deve sapere cosa sta succedendo a Trieste. … ti ciapi la macchina fotografica, le cineprese e ti vivi co noialtri». Il buon Butturini non se lo fece ripetere forse più di una volta. Prese armi e bagagli e si trasferì davvero in pianta stabile nell’epicentro di quella rivoluzione che si stava consumando nel lembo orientale estremo dello Stivale, un terremoto che cambierà su scala planetaria e per sempre la concezione stessa della cura e dell’assistenza dei malati psichici. Da lì documenterà, per l’appunto, più che le disumane condizioni in cui versavano quegli esseri umani dimenticati da tutti prima della loro presa in cura da parte di Basaglia, il processo di costruzione di questa nuova, destabilizzante per il sistema idea di casa di cura aperta al mondo e verso il mondo.
Butturini si mostra subito consapevole, in linea con Basaglia e con tutto il suo gruppo di lavoro, che rompere è assai più facile che progettare e realizzare alternative, attorno alle quali dover poi costruire un consenso sociale. Una destrutturazione di una istituzionalità ingessata e fobica che richiede un lavoro profondo nel quotidiano, tra la gente, nell’ambiente famigliare e sociale in cui vivono i sofferenti psichici. Questa “gestione sociale della follia” nel cuore di una nuova “istituzione inventata” viene quindi da lui documentata assecondando quello slancio umano e professionale che sempre ha guidato i suoi lavori precedenti, tutti indistintamente protesi a relazionarsi in modo profondo con l’altro, con il lato più intimo e rispettoso della vita.
Il risultato di questo suo straordinario lavoro, che va documentalmente a completare l’opera anticipatoria e rivoluzionaria di Franco Basaglia, viene ora esposto a Venezia, città del grande psichiatra, in un luogo che non potrebbe essere il più vocato a tal fine, vale a dire la sede di Emergency alla Giudecca ben diretta da Mara Rumiz, altra “istituzione inventata” da un altro medico di rottura dalla parte degli ultimi, Gino Strada. L’esposizione, curata da Gigliola Foschi in collaborazione con l’Archivio Basaglia e l’Associazione Gian Butturini, presenta una selezione di cento istantanee scattate dal grande fotografo bresciano nella casa di cura triestina.