(2022, Estonia, Lituania, Kirghizistan, 81')
I toni cupi, la brutalità innata nell’essere umano, le azioni crude e la pulsione all’autodistruzione: questi sono alcuni dei moduli ricorrenti in Kim Ki-duk. Il postumo Kõne Taevast non si sottrae a questi ricorsi tematici, che anzi prendono ossessivamente forma nella mente di una ragazza prigioniera di una relazione amorosa compromettente. Un film quasi filosofico che stimola la riflessione su uno dei bisogni più contraddittori e radicati nella natura umana: l’amore. Come uscire da un incubo che sembra proiettare nel vortice della passione violenta? È possibile porre un freno all’impulso fisico e sensuale, evitando che la carne sottometta la ragione? Esistono autocontrollo e autonomia in un sentimento che rende il soggetto amante ciecamente vincolato all’oggetto amato?
Nato nel 1960 nella contea sudcoreana di Bonghwa, Kim Ki-duk ha mosso i primi passi nel mondo del cinema senza una preparazione accademica alle spalle. Il grande esordio come regista è giunto col film Coccodrillo (1996), a cui sono seguiti molti altri successi che l’hanno portato al Festival di Venezia in varie occasioni: nel 2000 con L’isola e l’anno dopo con Indirizzo sconosciuto. Ferro 3 – La casa vuota e La samaritana, entrambi del 2004, gli sono valsi rispettivamente il Leone d’Argento alla miglior regia e l’Orso d’Argento al miglior regista. Il suo Pietà (2012) ha ottenuto il Leone d’Oro alla 69. Mostra del Cinema di Venezia. Scompare nel dicembre 2020 a soli 59 anni, in seguito a complicazioni legate al Covid.