Max è un paesaggista che lotta per creare un giardino senza recinzioni a Marsiglia. Dopo anni di fallimenti, il suo progetto raggiunge la fase finale di un concorso di architettura. Questa per lui è l’ultima possibilità di dare ossigeno alle persone che stanno soffocando in quell’inferno urbano. Philippe Petit porta in Concorso alla 37. SIC il suo primo lungometraggio di finzione, Beating Sun.
Come nasce il film?
Mentre studiavo cinema, lavoravo in una piccola azienda impegnata nello studio dell’impatto delle costruzioni sulla natura. Ne scrissi una sceneggiatura, poi per diversi motivi non realizzai quel film. Sono tornato su quell’idea anni dopo, con Beating Sun, lavorando su una storia che unisse questi due elementi: natura e cemento. Un argomento del tutto contemporaneo.
Verde è il colore della natura. Verde è il colore della genuinità, della libertà, dello spazio. Verde è la speranza che gli abitanti di un anonimo quartiere marsigliese ripongono nel progetto paesaggistico di Max. Obiettivo: riqualificare lo spazio urbano, aumentare l’a...
Considera il suo film come una metafora sulla condizione umana?
Una delle cose più eccitanti del vivere è sentire che il nostro corpo e il nostro cervello possono migliorare ogni giorno. Stessa cosa si può dire per una pianta, che se si sente bene con l’ambiente circostante e le viene riservata attenzione ha foglie migliori e radici più forti. Il film è anche una metafora della condizione di chi è costretto a vivere una vita altalenante, ricca di alti e bassi.
Perché ha scelto Swann Arlaud, come attore protagonista?
Sono sempre stato colpito dai suoi occhi, da come vede le cose. È come se fosse una pianta “istintiva”, in movimento, attratta dal sole ma che ha anche bisogno di sentire le proprie radici salde nel terreno. Ho pensato che Swann potesse essere toccato da Max e dal suo progetto, perché so quanto sia coinvolto in prima persona per la causa ambientalista.