La Casa dei Tre Oci di Venezia presenta la più ampia retrospettiva mai realizzata finora, la prima in Italia, dedicata alla fotografa franco-svizzera Sabine Weiss.
L’ultima mostra ai Tre Oci, dando significato all’aggettivo sia in ordine cronologico che letterale, è dedicata alla fotografa Sabine Weiss, nata in Svizzera nel 1924 e naturalizzata francese fino alla morte, che l’ha colta a 97 anni il 28 dicembre 2021 a Parigi. Va detto subito che ci sarà una nuova sede per le mostre di fotografia a San Giorgio, mantenendo viva la programmazione, la qualità e il prestigio delle rassegne fotografiche che dal 2011 hanno saputo conquistare un pubblico sempre più consistente, facendo diventare i Tre Oci uno dei luoghi riconosciuti per la fotografia in Italia. Ci sarà, dunque, solo uno ‘slittamento’ sulll’Isola successiva e adiacente, una fermata in più di vaporetto o una di meno, dipende da dove si parte. Sabine Weiss ha collaborato fino all’ultimo nella preparazione di questa mostra, la più importante retrospettiva mai realizzata, aprendo i suoi archivi personali, conservati a Parigi, per raccontare la sua straordinaria storia e presentare il suo lavoro in maniera ampia e strutturata.Curata da Virginie Chardin, la mostra offre oltre duecento scatti che coprono un arco temporale che va dagli esordi nel 1935, fino agli inizi del 2000. Così la curatrice ne scrive sul catalogo, edito da Marsilio Arte: «Fin dai suoi primi esperimenti personali, Sabine Weiss è attratta dagli ambienti notturni, da bambini e anziani, i clochard, la solitudine, la povertà, lo spettacolo della strada. Indirizza subito la sua attenzione verso il corpo, i gesti, le emozioni e i sentimenti dell’altro, soprattutto quando è fragile. Per questo è rapidamente associata a quella scuola definita umanista, nella quale si riconosce volentieri. Anche se i suoi soggetti sono spesso vicini a quelli di Doisneau, Ronis o Izis, nel suo caso non si può parlare di presa di posizione militante né di denuncia politica». Weiss non costruisce le sue immagini come un dipinto o una scena, le sue inquadrature discendono da un’esperienza intima, uno slancio spontaneo e intuitivo verso il soggetto. Modesta com’è «non è particolarmente interessata a vedere gli ingrandimenti del suo stesso lavoro», testimonia il marito Hugh. «Per lei, la cosa più importante è l’eccitazione che prova nel momento in cui scatta una serie di immagini. Ciò che le sta più a cuore è questa coesione emotiva tra lei e i suoi soggetti […] Che fotografi un abito di Dior o una banda di ragazzini, quello che conta per lei è il fatto di affrontarli, e il controllo di tutti gli elementi dell’immagine. A un certo punto questi elementi, la sua macchina, e lei stessa sembrano fondersi».