L’ambiguità del male

Cillian Murphy e Christopher Nolan, con Oppenheimer tra le pieghe della storia
di Davide Carbone

Nolan porta al cinema i tormenti del papà della bomba atomica, in uno dei film più attesi dell’anno.

Julius Robert Oppenheimer, meglio noto come J. Robert o semplicemente Robert, è stato un fisico statunitense. Autore di importanti contributi nel campo della fisica moderna, in particolare nella meccanica quantistica, la sua fama è legata soprattutto alla costruzione della prima bomba atomica nell’ambito del progetto Manhattan e alla successiva crisi di coscienza che lo indusse a rifiutare di lavorare a quella all’idrogeno. Contemporaneamente a George Gamow spiegò, in modo indipendente, l’effetto tunnel quantistico. Diede contributi alla scoperta del positrone, studiò il fenomeno degli sciami atmosferici di raggi cosmici e il collasso gravitazionale di stelle di grandi dimensioni. Fece studi con acceleratori di particelle sul bombardamento di nuclei pesanti con deuteroni. J. Robert Oppenheimer è una delle figure più enigmatiche e influenti della fisica del Novecento: da una parte grande scienziato e mente brillante, dall’altra simbolo di una scienza che fu in grado di ricavare l’”arma definitiva”, siglando la fine del secondo conflitto mondiale e consegnando all’umanità la responsabilità e l’incubo di una possibile distruzione totale.

Uomo di scienza, dunque, ma prima di tutto un uomo. Un uomo con tutti i propri dubbi e le proprie fragilità che viene messo al centro del film di Christopher Nolan, con Cillian Murphy impegnato in una straordinaria prova attoriale che ne coinvolge mente e fisico. Un cast che comprende attori come Matt Damon, Robert Downey Jr., Rami Malek, Kenneth Branagh, Emily Blunt e Florence Pugh, al centro di una storia che il visionario regista incentra su Murphy, alla quarta collaborazione dopo Batman, Inception e Dunkirk. In una recente intervista Cillian Murphy ha confessato alcuni dettagli sulla lavorazione del film, compresa la difficoltà nel socializzare: «Non uscivo molto. Non socializzavo molto, principalmente a causa della mole di lavoro che dovevo svolgere. Mi sono immerso così tanto nel ruolo. Sei mesi e diciotto ore al giorno di lavoro hanno richiesto una vacanza al termine delle riprese. Devi sempre prenderti una vacanza dopo un lavoro. Non è perché, come piace pensare ad alcuni giornalisti, sei un attore metodico o altro. È perché dedichi così tanto tempo al lavoro e poi all’improvviso smetti. Hai tutta questa energia dislocata, non sai cosa fare con te stesso. Ma sono una persona molto accomodante. Non mi appesantisce».

 

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