Dopo l’agosto delle masserie pugliesi e delle ville albanesi, di generali in pieno delirio verbale e amenità di ogni genere, torna la politica, quella seria, dal 6 al 10 settembre a Mestre, con il Festival della Politica, edizione numero 12 che ha come titolo La globalizzazione dopo la globalizzazione.
Grazie a Fondazione Gianni Pellicani, M9 – Museo del Novecento, Fondazione di Venezia, Comune di Venezia e Camera di Commercio Venezia Rovigo, l’appuntamento con gli approfondimenti del presente guardando al futuro trova sempre dei protagonisti di primo piano per scavare oltre la superficie e andare oltre le polemiche quotidiane che sono divenute un esercizio retorico completamente inutile, perché superate continuamente dal capitolo successivo e da quello ancora dopo.
Sarà Paolo Gentiloni ad inaugurare il Festival della Politica 2023. Il Commissario per gli affari economici e monetari dell’Unione Europea interverrà alla giornata di anteprima mercoledì 6 settembre, intervistato da Marco Damilano. La partecipazione al Festival di una personalità come Gentiloni costituisce l’avvio ideale per un’edizione che intende discutere il futuro dell’Europa nel nuovo contesto globale. Dopo aver ospitato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, David Sassoli, Ségolène Royal e altre figure istituzionali di alto prestigio, la presenza di Gentiloni è un’ulteriore conferma di come il Festival abbia saputo affermarsi come luogo privilegiato di confronto sull’attualità politica nel panorama nazionale. Con una quarantina di eventi divisi in dibattiti, dialoghi, presentazioni di libri, workshop e spettacoli, il Festival riporta il confronto politico nelle piazze con il contributo di alcuni tra i principali protagonisti della vita culturale italiana, studiosi, giornalisti, analisti, politici e altre personalità, per un totale di più di 90 ospiti.
Oltre a Massimo Cacciari e Nicola Pellicani, che ne sono animatori, tra i protagonisti si annoverano il già citato Paolo Gentiloni, Maurizio Molinari, Carlo Cottarelli, Donatella di Cesare, Marco Damilano, Ilvo Diamanti, Angelo Panebianco, Alessandra Ghisleri, Chiara Valerio, Pietro del Soldà, Veronica De Romanis, Marco Ansaldo, Annalisa Cuzzocrea Stefano Massini, Andrea Rinaldo, Linda Laura Sabbadini, Antonio Gnoli, Giacomo Marramao, Luigi Brugnaro, Donatella Sciuto, Giovanni Orsina, Francesca Coin, Michele Bugliesi, Marta Ottaviani.
Meritano una segnalazione due incontri all’M9 per altrettanti anniversari che segnarono in modo drammatico la memoria
del Paese: gli 80 anni dall’8 settembre 1943, in cui per qualche ora si ebbe l’illusione della Guerra finita e invece fu l’inizio di una catastrofica guerra civile e di un’efferata occupazione nazifascista, e i 60 anni dalla tragedia del Vajont, una ferita mai rimarginata nella storia italiana.
Nicola Pellicani, Segretario della Fondazione intitolata al padre Gianni e promotore del Festival, ha risposto alle nostre domande, raccontandoci in anteprima le peculiarità dell’edizione 2023.
L’appuntamento di settembre ci ha abituato nel corso degli anni ad aperture con personaggi di primissimo piano. L’edizione 2023 si apre con la presenza di Paolo Gentiloni. Questo testimonia l’autorevolezza, si direbbe oggi la “reputation”, raggiunta dal Festival. Perché invece a Roma non si guarda con la dovuta attenzione a Mestre? Non mi pare di leggere nomi di ministri tra i partecipanti. Non è che stravolgendo il famoso proverbio in Dum Mestrae consulitur, Romam expugnatur, siamo vicini al vero?
Mestre meriterebbe certamente più attenzione. Negli anni il nostro Festival è diventato un appuntamento significativo della discussione politica nazionale. Penso ad esempio all’intervento che tenne Giorgio Napolitano da Presidente in carica, ancora oggi ricordato come uno dei discorsi più profondi e importanti della sua presidenza. O al dibattito sulle riforme che sviluppammo attraverso diverse edizioni, coinvolgendo figure di primo piano come Zagrebelsky e altri. O in tempi più recenti la riflessione su temi europei, condotta anche con ospiti internazionali come Yves Meny e Ségolène Royal. Il nostro intento è quello di alimentare una discussione di ampio respiro, che rifugge dalla polemica di giornata per invece perseguire l’approfondimento, l’analisi, la proposta. Saremmo felici di ospitare più ministri e figure delle istituzioni, purché ci sia la disponibilità ad entrare in questo spazio di confronto aperto e polifonico, dove l’attenzione non è sulla polemica ma sul pensiero politico.
La globalizzazione dopo la globalizzazione è il tema dell’edizione 2023. Si allude al fatto che il crescente sovranismo sia in qualche modo un processo ineluttabile?
Semmai il contrario. Quello che oggi è entrato in crisi è il modello di globalizzazione coltivato a partire dagli anni ‘90. Era un progetto di globalizzazione figlio della caduta del muro di Berlino: la guerra fredda era finita e si pensava di poter realizzare un mondo unipolare, unito dall’espansione dei mercati e regolato da un sicuro primato degli Stati Uniti. Oggi invece ci troviamo di fronte un mondo sempre più multipolare, che intorno alla grande competizione tra America e Cina vede moltiplicarsi le tensioni geopolitiche locali. È un mondo certamente più complesso e anche più incerto e pericoloso, come dimostra la guerra in Ucraina. Ed è un mondo che sta mettendo in difficoltà i sovranismi nazionali per come li conoscevamo. Perché in un mondo diviso in blocchi c’è meno spazio per le “piccole patrie”: si stringono i ranghi delle alleanze internazionali e ogni scelta politica deve fare immediatamente i conti con lo scacchiere globale. Alla luce di tutto questo vediamo che la narrazione dei sovranismi si trova sempre più spesso in contraddizione con la dura realtà del governare. Per cercare di uscire da questa impasse, oggi i progetti sovranisti si stanno ripensando. Al Festival ragioneremo anche di questo, cercheremo di capire in che direzione evolveranno.
Ci saranno stagioni migliori per la sinistra in Italia e in Europa, oppure anche in Europa nel 2024, con le elezioni del nuovo Parlamento, dovremo assistere ad un’ulteriore svolta a destra, verso un’Europa delle nazioni, divise, e non dei popoli un po’ più coesi?
Ovviamente nessuno ha la palla di vetro, ma al Festival cercheremo di capire in che modo si sta ridisegnando la geografia politica europea, quella del consenso così come quella delle alleanze politiche. Credo che il dato più saliente del nostro tempo sia quello di trovarsi al cospetto di problemi così epocali da mettere in crisi molte strategie del consenso tradizionali. Penso alla guerra, alla crisi economica e soprattutto alla questione ecologica. Come pochi giorni fa ricordava il Nobel dell’Acqua Andrea Rinaldo su Repubblica, «il clima non è né di destra né di sinistra»; al di là di propagande e demagogie è un problema enorme che nessun paese può affrontare da solo. Purtroppo sem- bra che oggi in molti casi siano figure esterne alla politica ad avere il più alto grado di consapevolezza su questi temi. Protagonisti del mondo della cultura o della ricerca, come appunto Andrea Rinaldo, massimo idrologo mondiale che ieri era a Stoccolma per ricevere, per l’appunto, il Nobel dell’Acqua, e che il 9 settembre sarà con noi al Festival per discutere di emergenza idrica e di politiche per fronteggiare il cambiamento climatico.
La quota giovane è stata invitata ad essere protagonista del programma al pari degli interpreti consolidati della politica nazionale e non solo. Come il Festival può incidere per la creazione di una nuova classe politica o per il rinnovamento di essa?
È un dato importante e confortante che oggi l’Italia esprima tanti giovani talenti: analisti, politologi, reporter capaci di innovare il dibattito e di fornire letture nuove della realtà. Al festival abbiamo voluto dare spazio a questa nuova leva mettendola a confronto con la generazione più affermata, nell’ottica di contribuire all’arric- chimento e al rinnovamento del dibattito pubblico. Penso a nomi come Gilles Gressani, Cecilia Sala, Lorenzo Preglia- sco, Greta Cristini, Giacomo Bottos, Silvia Sciorilli Borrelli e agli stessi curatori ospiti Alessandro Aresu e Chiara Albanese. Questa nuova leva di brillanti analisti si incrocerà con personalità da tutti conosciute e riconosciute quali Massimo Cacciari, Angelo Panebianco, Maurizio Molinari, Ilvo Diamanti, Donatella Di Cesare. Credo che, per essere all’altezza del momento storico che stiamo vivendo, in Italia dobbiamo aprire una nuova stagione di grande dibattito che si confronti con i problemi reali, che sappia riavvicinare le persone alla politica approfondendo realmente i temi e rifuggendo le demagogie, i tribalismi, le semplificazioni da social. Al Paese non mancano certo i talenti, le competenze, le intelligenze. Serve invece moltiplicare gli spazi e le occasioni di approfondimento, di discussione aperta e seria. Noi da dodici anni lo facciamo nelle piazze di Mestre, cercando di dare un contributo allo sviluppo di una cultura politica più consapevole e di un dibattito più approfondito
e ambizioso. In democrazia non ci sono scorciatoie per coltivare il rinnovamento e possibilmente il miglioramento della classe dirigente: è l’intera cultura civica e politica di un paese che deve crescere.