Spazio sonoro

Lavorare con e non contro gli spazi, lontano dalla musealizzazione
di F.D.S.
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Una conversazione con Luca Cerizza, curatore del Padiglione Italia alla Biennale Arte 2024.

Abbiamo deciso di lavorare con questi spazi [Tese delle Vergini] e non contro, riducendo al minimo le sovrastrutture e la tentazione di musealizzarli

Non v’è dubbio che le superfici del Padiglione Italia all’Arsenale rivestono una certa complessità spaziale e ambientale; aree enormi, molto scure, che arrivano alla fine del percorso di visita dell’Arsenale. Può dirci come questo progetto da lei curato cerca di affrontare e sfidare questa dimensione?
Mi piace pensare che il nostro progetto sia una risposta ulteriore a un lungo dialogo con questi spazi che dura da circa vent’anni. Se il dialogo si è dimostrato sicuramente anche complesso e faticoso, la riduzione del numero degli artisti invitati è stata una possibile risposta adottata negli ultimi anni, in sintonia con quello che fanno altri Paesi (seppur con metrature molto più ridotte!). Come e ancor di più che in alcuni Padiglioni Italiani recenti, abbiamo deciso di lavorare con questi spazi e non contro, riducendo al minimo le sovrastrutture e la tentazione di musealizzarli. Credo che il nostro sia stato un atteggiamento di realismo, anche da un punto di vista economico e ambientale. D’altronde sia io che Massimo, nei nostri rispettivi spazi di azione, ci siamo dovuti confrontare per anni con una grande varietà di contesti espositivi. Questo ci ha educati, io credo, a un continuo e rinnovato “ascolto” per contesti culturali e spaziali diversi. La mostra personale di Bartolini Hagoromo, che ho curato con Elena Magini al Pecci di Prato, era esemplare in questo senso. La grande opera ambientale che attraversava più di settanta metri di spazio pendeva da una struttura esistente del museo piuttosto invasiva. Tale struttura veniva inclusa nell’opera di Massimo che funzionava, allo stesso tempo, da display. Dividendo in due lo spazio di queste grandi stanze, l’opera/struttura/display rendeva più facile mostrare opere di dimensioni anche molto ridotte.

Massimo Bartolini è artista noto in tutto il mondo perché le sue opere mettono in relazione l’uomo con lo spazio della natura, per fare emergere un diverso e nuovo livello di percezione. Questo progetto per il Padiglione Italia si inscrive dentro questo approccio consolidato dell’artista? E quali nuove suggestioni possono nascere dall’applicazione di questo concetto generale agli spazi specifici e così connotanti delle Tese delle Vergini?
Sì, sarà un’ulteriore tappa di un lungo percorso che, a dispetto di una varietà di declinazioni formali e linguistiche, possiede grande coerenza di pensiero. In tale percorso certi elementi emergeranno qui con nuova forza, anche grazie alla relazione con gli spazi e ad alcuni nuovi compagni di strada (i musicisti e gli scrittori coinvolti). Citando l’ultimo libro di Bifo, «I pensatori buddisti parlano di grande compassione come capacità di sentire la continuità del mio corpo del tuo corpo, la co-presenza e la co-respirazione dei diecimila esseri viventi. […] L’attuale accelerazione della mobilitazione nervosa – che è l’effetto dello sfruttamento crescente del cervello collettivo – sta distruggendo la capacità di sensibilità: patologia del piacere».

Quattro giornate di approfondimento verranno offerte al pubblico nel corso dell’esposizione: quale relazione hanno con il progetto artistico e quali elementi aggiungono al progetto stesso?
Il programma, che curo in collaborazione con Gaia Martino, sarà focalizzato su declinazioni diverse del tema dell’ascolto, in relazione al progetto del Padiglione e del lavoro di Massimo in particolare. Non saranno necessariamente interventi sul lavoro di Bartolini, ma piuttosto intorno alle tante questioni culturali che il suo lavoro solleva. L’idea è di creare approfondimenti di studio e confronto che diano parola a tanti temi che, nell’astrattezza sonora del Padiglione, forse non saranno sempre evidenti. Ogni appuntamento (di due mezze giornate) sarà dedicato a una declinazione diversa del tema dell’ascolto: dalla “politica dell’ascolto” (l’ascolto come forma sociale) all’ascolto della dimensione naturale (molto presente nel lavoro di Massimo già dagli anni ’90), dall’ascolto di noi stessi (legato a una dimensione anche spirituale, cosmologica, meditativa) all’ascolto della macchina (rapporto uomo-macchina, uomo-lavoro). Gli spazi del giardino saranno occupati da conferenze, interviste, performance musicali, lecture-performance, momenti laboratoriali, con la partecipazione di ospiti dall’Italia e dall’estero: da Elena Biserna a David Haskell, da Brandon LaBelle a Francesca Tarocco, per anticiparne solo alcuni.

In uno dei suoi ultimi lavori, Kali Malone ha inserito una citazione da un saggio di Giorgio Agamben, Profanazioni: «[…] c’è un contagio profano, un tocco che disincanta e ritorna a usare ciò che il sacro aveva separato e pietrificato». Esiste a suo modo di vedere una qualche relazione tra questo progetto per Biennale e il ritorno ad usare spazi, idee, oggetti che il sacro aveva immesso in una dimensione di ritualità e assolutezza?
Bellissima osservazione, su un punto assolutamente cruciale. Temi delicati che sono assolutamente presenti, anche se li tocchiamo con estremo pudore. Ma ora posso finalmente rivelare un retroscena. Nella prima bozza del progetto sottoposta alla Direzione Creatività già a giugno scrivevo: «Massimo Bartolini crede che l’opera d’arte possa essere uno strumento di conoscenza, una fede laica per ritrovare uno spazio spirituale intimo che permetta una crescita dell’individuo e uno scambio finalmente paritario tra noi e l’altro […]. La dimensione spirituale – oltre che in forme di rinnovato panteismo che il progetto sollecita – si esprime anche nelle scelte musicali che agiscono in consonanza con la riscoperta che hanno fatto alcuni giovani musicisti (soprattutto donne) e il loro pubblico, del potere di certe sonorità le quali stabiliscono, inoltre, legami stretti con tradizioni culturali e musicali extra-occidentali e antichissime (Induismo e Buddismo in prima luogo)». Ascoltando alcune delle ultime composizioni di Malone, che lei giustamente cita, è ancora più evidente il suo legame anche con la tradizione musicale religiosa occidentale. Eppoi non dimentichiamoci che siamo a Venezia…

Immagine in evidenza: Luca Cerizza – © Daniel Gustav Cramer

Massimo Bartolini racconta il suo Due qui / To Hear al Padiglione Italia

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