Accadde una notte

Festa del Redentore, tra folclore e leggenda si rinnova la festa veneziana per eccellenza
di Fabio Marzari

Rito e divertimento, ma soprattutto spettacolo e magia. Sabato 20 luglio arriva la “Notte Famosissima” in cui Venezia si illumina e risplende sotto la cascata di colori dei foghi.

[Articolo pubblicato in Venews #265-266, luglio/agosto 2022]

La notte di mezza estate, torrida, afosa, affollata, chiassosa, ma pur sempre bellissima, in cui tradizione vuole che gli occhi guardino necessariamente all’insù per ammirare una lunga teoria di fuochi d’artificio, che si librano nel cielo sopra Venezia, è un appuntamento fisso, che riscuote sempre un successo incondizionato. La tradizione sancisce il perpetrarsi di gesti sempre uguali negli anni, come l’attraversamento del ponte di barche da Zattere al Redentore in una sorta di pellegrinaggio tra il sacro e il profano, la visita nella chiesa omonima, che per un fine settimana diventa protagonista assoluta della città, scoprendone le forme austere ed eleganti, volute da Andrea Palladio, le numerose imbarcazioni che accolgono un popolo di marinai della domenica, pronti ad affrontare le ore di attesa dei foghi tra bevute cospicue e cibi preparati in anticipo, e non solo bigoi in salsa o anatra in tecia, come dovrebbe essere da filologia alimentare serenissima, con l’immancabile anguria, ma con ogni varietà di cibo, in un’anarchia alimentare divertente e volutamente trasgressiva nel suo scavalcare le regole.

La festa del Redentore, più di ogni alta, sancisce una sorta di patto legato all’unicità che suscita deferenza tra Venezia e il resto del mondo. Venezia diventa un oggetto da ammirare incondizionatamente, almeno per un’ora, e tutto diventa un’iperbole del sublime, quasi ci fosse bisogno di dare al già unico la patente ulteriore di ancor più bello. Un cielo dipinto di infiniti colori, ogni balcone, terrazza, anfratto utile alla vista dello spettacolo viene occupato da un esercito su prenotazione di bipedi pazienti, che sottostanno a regole assurde, che ricordano da vicino quel proverbio che parla di chiudere la porta della stalla, dopo che i buoi sono scappati!

La forza di Venezia, quella vera, prodotta da individui che ne sono rapiti dal fascino e con rispetto cercano di comprenderla, sin dalla sua storia, è in grado di stupire ancora un disilluso come me, quando apprende che amici stranieri ritornano nella loro Venezia solo per il Redentore, interrompendo la vacanza, per poi riprenderla, per non mancare all’appuntamento con la notte in cui i colori affollano di luci sempre diverse le architetture di un micro universo, in cui la geometria dei palazzi convive con il corso delle acque che silenziose segnano confini tra muri e storie di famiglie che nei secoli hanno saputo nutrire il loro entusiasmo nella vita collettiva a favore della città. Questo filo spezzato non può ritornare teso solo in occasione di una festa, il legame deve riprendere vigore e riportare segni di vita reale, i fuochi sono artificiali, le nostre storie che si dovrebbero fondere in un afflato collettivo ora sono solo fiammelle debolissime, diafane e traballanti.

LA TRADIZIONE

Storia del Redentore

Nella seconda metà del Cinquecento, in soli due anni, la peste nera si portò via più di un terzo della popolazione. Il Senato veneziano diede così ordine di costruire la Chiesa del Redentore come ex voto per liberare la città da questo flagello. Nel luglio del 1577 la peste fu debellata e vennero proclamati tre giorni di grande festa, che da allora ha il suo fulcro alla Giudecca, le cui rive, occupate da decine di tavole imbandite, risplendono di lampioncini gialli.

Chiesa del Redentore

Commissionata ad Andrea Palladio dal Senato veneziano, la Chiesa del Redentore rappresenta uno dei massimi capolavori architettonici del Rinascimento e fu terminata dopo la morte del celebre architetto (1580) da Antonio da Ponte, che ne rispettò fedelmente il progetto.

La facciata, che a distanza emana il fascino di un bassorilievo, ha il tipico impianto palladiano con i timpani spezzati dalle semicolonne e l’elemento orizzontale che la contiene e la geometrizza. L’interno, intonacato di bianco, ha la grandiosa semplicità del tempio classico. La chiesa e la sagrestia sono ricche di opere d’arte di grande importanza fra cui spiccano i lavori di Tintoretto, Francesco Bassano, Paolo Piazza, Palma il Giovane e Alvise Vivarini.

Ponte Votivo del Redentore

Costruito temporaneamente solo per la Festa, quest’opera ingegneristica lunga 330 metri, in legno e acciaio, è composta da 16 moduli galleggianti ancorati da pali e sorretti da 34 barche. Collega la Fondamenta delle Zattere alla Giudecca a ricordo di quello costruito, in soli quattro giorni, su ottanta galee e ricoperto da un ricco drappo, che collegava San Marco all’opposta riva della Giudecca nel primo solenne corteo del 1577.

Regata del Redentore

La domenica, il canale della Giudecca viene restituito per poche ore a sua maestà il Remo. La prima sfida è quella dei giovanissimi su pupparini a due remi, tipica imbarcazione dal profilo sottile e slanciato, si prosegue con la gara tra uomini sempre su pupparini a due remi, per poi completare con la sfida su gondole a due remi, una vera prova di forza fisica e intelligenza per governare al meglio l’imbarcazione, prendendo la giusta corrente lungo il percorso che dal Redentore segue il canale della Giudecca, il canale di Fusina e ritorno con arrivo nei pressi della Chiesa del Redentore.

LA TAVOLA

Sarde in saor

Sardine fritte e cipolla passata in padella con dell’aceto bianco con aggiunte anche l’uva passa e i pinoli. Il piatto viene assemblato in una pirofila, uno strato di sardine, uno di cipolla e così via, e lasciato riposare in frigo per alcuni giorni. La ricetta pare risalga ai primi anni del 1300 e che sia nata dalla necessità dei marinai di conservare più a lungo il pesce. Il mix di cipolle e aceto permetteva al pesce di durare molto a lungo.

Bigoi in salsa

La ricetta ha radici molto antiche, alcuni la fanno risalire addirittura all’epoca di Marco Polo e rappresenta un piatto povero, ma molto ricco di sapore, un classico della cucina veneziana e veneta. Un tipo di pasta fatta in casa, la tradizione vorrebbe i bigoi di Bassano – in extremis si possono usare anche gli spaghetti –, condita con una salsa di acciughe e cipolla. Da servire rigorosamente senza parmigiano e, se avanzano, sono ancor più buoni freddi il giorno dopo.

Pasta e fasioi

Si possono utilizzare varie tipologie di pasta, anche se tradizione vorrebbe la “tiracca trevigiana”, i ditalini o il riso; i fagioli possono essere interi, macinati o mezzi e mezzi, dipende se si preferisce un piatto più o meno asciutto. Ottimi se serviti tiepidi, ma anche freddi sempre con un giro d’olio versato a filo. La tradizione prescrive una regola fondamentale: la provenienza dei fagioli, rigorosamente di Lamon, nel feltrino, a 600 metri di quota.

Ànara col pien

L’ànara col pien è una ricetta veneta dei tempi lontani, una pietanza delle grandi occasioni, quando la carne arrivava a imbandire anche le tavole più umili prendendo il posto del pesce che in laguna era più comune e alla portata di tutti. L’uso di cucinare l’anatra col pien, cioè con un saporito ripieno a base di fegatini, soppressa – un particolare insaccato veneto – e talvolta anche pinoli e amaretti, è tipico della notte del Redentore, quando le trattorie ancora fedeli alla tradizione la servono in tavola insieme ad altre pietanze rituali come i sfogi in saor, i bigoli in salsa o i bovoleti e, a seguire, l’immancabile anguria!

Bovoleti consi

Le lumachine degli orti sono un tipico piatto da osteria, immancabile nelle allegre tavolate del Redentore. Si mangiano con le mani senza tanti fronzoli, togliendo dal guscio con uno stuzzicadenti il minuscolo gustoso animaletto. Facili da preparare: si stufa la cipolla con olio e molto aglio e si versano i bovoleti assieme ad abbondante prezzemolo, pepe e sale. Vanno consumati freddi accompagnati da una fetta di polenta bianca (da Venezia in cucina di Carla Coco, Editori Laterza).

La “notte famosissima”, come la chiamano i veneziani, è parte integrante del costume popolare, un’occasione in cui la ci...

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