La troppa bellezza

In Parthenope, un Sorrentino barocco racconta una Napoli piena di tutto
di Loris Casadei

La nostra recensione dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, da alcuni giorni in sala.

Una delle immagini più abusate nel cinema, ma anche negli spot pubblicitari, è la ripresa di un bel corpo femminile che esce dall’acqua, meglio ancora se abbronzato e con un velo di sabbia sulla pelle. Così anche l’iconografia della nascita di Venere narrata nella Teogonia di Esiodo. Così nasce la Parthenope di Sorrentino. Il regista stesso menziona questo corpo riprodotto su innumerevoli tele come una delle sorgenti di ispirazione del film. Napoli è al centro della narrazione con tutti i suoi miti e i suoi luoghi comuni: la camorra e i suoi supposti riti iniziatici (un matrimonio tra due potenti famiglie consumato da due novelli sposi sul tavolo da biliardo alla presenza di tutti i componenti dei clan), l’armatore Achille Lauro e il declino della sua casata, Sofia Loren nell’era della decadenza con le sue parrucche e i suoi ricordi, gli ambienti barocchi e lo sfarzoso arredo delle chiese, i boss del quartiere che prendono corpi e vite e spargono denaro e favori nei bassi, al centro ovviamente la dissacrazione del miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. Poi le stupende inquadrature del Golfo di Napoli, del suo mare, del Vesuvio, raffinate quanto mai. Il mare, origine della vita e della libertà (Parthenope in canoa, lontana da tutti e finalmente sola), ma anche della morte (il suicidio del fratello, che non regge la sua passione per la sorella). Raffinati giochi di luci, virtuosi movimenti di cinepresa, ombre e penombre dove risplendono i gialli dell’oro e delle fiamme, slow motion, per non troppo parlare della bellezza della protagonista.

Film che divide e dividerà il pubblico, sicuramente furbo nel seguire i meandri della mente umana e della sessualità perversa, talvolta con dettagli non necessari (il sangue dell’ampolla che si liquefà con la perdita della verginità di Parthenope). Un film in cui c’è troppo, troppo barocco, troppi stereotipi e alcune stupende tracce tendono a smarrirsi, il mistero del tempo, lo sfuggire degli eventi dalla memoria, perché Parthenope è anche un film sulla memoria o ancora la figura del professore antropologo con le sue non piacevoli verità sulla vita, magnifico il cameo su John Cheever, grande scrittore statunitense, che nel film rifiuta l’approccio ammaliante di Parthenope: «Non voglio essere responsabile che tu perda con me neppure un istante della tua giovinezza».
Verrebbe da dire: scusate se di questo film ne parliamo anche noi.

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