Una serie di nuove opere in vetro dell’attivista e artista di fama mondiale creano un dialogo contemporaneo con l’iconica Abbazia di San Giorgio. Tra le nuove opere site-specific, La Commedia Umana, un lampadario di dimensioni colossali frutto di una collaborazione triennale tra il celebre artista cinese e i maestri artigiani di Berengo Studio.
Quando si dice una mostra che segna il presente dando del tu al presente. Quando si dice, ebbene sì, per una volta non un meccanico spot da lancio stampa, una mostra da non perdere, senza se e senza ma. Per diverse ragioni, contenutistiche, identitarie, di linguaggio mai come in questo caso profondamente glocal, di dimensione corporeamente dialettica tra respiro spiritualmente universale che emana anche solo visivamente l’opera clou dell’esposizione, l’enorme lampadario in vetro La Commedia Umana, e sapere artigianale di profondità millenaria. Una mostra, La Commedia Umana – Memento Mori, la cui ideazione concettuale e progettuale, la cui complessità realizzativa porta la firma di due autentici fuoriclasse attivi nella scena dell’arte contemporanea. Il primo, l’artista, non ha certo bisogno di presentazioni, dato che Ai Weiwei non solo è uno dei più importanti e germinali artisti contemporanei, ma è anche tra tutte le grandi firme dell’arte mondiale quello che più di ogni altro ha saputo coniugare lo scavo profondo all’interno della complessità della contemporaneità, con tutto il suo portato contraddittorio fatto di tensione viva verso l’espressione creativa libera, senza condizionamento alcuno, e di limiti, di ostacoli anche violenti e coercitivi verso questa stessa libertà espressiva, con la capacità di utilizzare la comunicazione mediatica per infrangere le barriere schematiche, elitarie che troppo spesso separano la cultura alta dalla passione, dalla curiosità popolare. Il secondo, il gallerista, il produttore, o per meglio dire il regista di questi straordinari progetti artistici in vetro, quell’Adriano Berengo, anch’esso, di sicuro almeno qui a Venezia, figura che non ha certo bisogno a sua volta di particolari presentazioni, che è a nostro avviso senza dubbio alcuno uno dei pochissimi, se non l’unico, dei veneziani di oggi dotato della medesima carica visionaria, dell’eguale abilità mercantile, dell’identica presa sul mondo intero, sugli incroci che i diversi continenti producono interagendo per affari e idee, che caratterizzavano l’attività, la progettualità imprenditoriale dei grandi veneziani dell’età aurea della Serenissima, quando New York City era Venezia. Tra tutte le sue varie imprese e progetti produttivi ed espositivi di arte contemporanea in vetro basti solo qui menzionare Glasstress, la più importante collettiva al mondo di questa forma di espressione artistica allestita a Venezia ogni due anni in concomitanza con la Biennale Arte, mostra che è oramai divenuta una fermata imprescindibile per chiunque dia del tu al contemporaneo. Insomma, un matrimonio artistico che davvero s’aveva da fare e che ora si celebra ufficialmente nello straordinario scenario della palladiana chiesa di San Giorgio Maggiore.
Per gentile concessione della Fondazione Berengo abbiamo il piacere e l’onore di ospitare nelle nostre pagine i due interventi che i due protagonisti hanno steso per il catalogo ufficiale della mostra.
Ho conosciuto Adriano Berengo, fondatore del Berengo Studio, il 28 agosto del 2009. Al tempo Adriano e suo figlio Marco visitarono il mio studio a Pechino per poi pianificare la nostra collaborazione. Ho visitato Berengo Studio per la prima volta solo molti anni dopo. In quell’occasione Adriano mi portò nel suo studio, dove ho potuto osservare come i maestri estraggono il vetro dalla fornace e lo modellano. Assistere a questo processo così complesso è stata un’esperienza molto intensa e, nonostante abbia una lunga esperienza nella lavorazione della porcellana, il vetro è diverso. Per trasformare l’argilla morbida in ceramica e per far aderire lo smalto alla superficie sono necessarie alte temperature, ma solo dopo che è stata modellata. Al contrario, il vetro è plasmato con alte temperature e ha bisogno di molto tempo per raffreddarsi, rendendo l’arte del vetraio un mestiere molto impegnativo. Le tecniche artigianali mi incantano e la mia curiosità per i mestieri artigianali tradizionali mi ha motivato a creare un’opera in vetro. L’arte vetraria ha una storia di almeno 3.600 anni e il vetro è un materiale che attraversa diversi stati: gassoso, liquido e solido. Una qualità unica che lo ha reso fin dalla sua scoperta un materiale tanto complesso quanto attraente. Lavorare con l’artigianato tradizionale richiede molta dedizione. Ho bisogno di comprendere il materiale e la sua lavorazione prima, e solo dopo posso lavorare con dei collaboratori che mettono in pratica le mie idee, in un processo lungo e faticoso.
Una volta venuto a conoscenza delle possibilità di modellatura del vetro, con Berengo Studio ho cominciato a fare dei tentativi, il più importante in mostra qui, La Commedia Umana. Con 8,4 m di altezza per 6,4 m di larghezza, l’imponente lampadario nero è composto da circa 2000 pezzi, con un peso complessivo di 2700 kg. Un insieme di teschi, scheletri, organi interni, ossa e animali, come granchi e pipistrelli, e telecamere di video sorveglianza, tutti simboli realizzati in vetro e presenti nelle mie opere passate. Ogni parte del candelabro è stata soffiata a mano durante questi due anni, grazie al duro lavoro dei vetrai dediti a questa gigantesca e complessa opera d’arte.
Adriano ha un’energia incredibile e una forte propensione per la creatività, e nella nostra collaborazione ha realizzato instancabilmente e puntualmente l’immaginario dell’artista. È un’abilità rara. Mi ritengo molto soddisfatto del processo di collaborazione, importante quanto il completamento dell’opera, che ha permesso a questa scultura di esistere. Considerato l’impegno che le mie creazioni spesso richiedono per la loro dimensione o forma, non possono essere realizzate senza una manodopera esperta. La pazienza dei vetrai e dei realizzatori dei modelli e l’assistenza di Stefano Lo Duca al Berengo Studio, l’incontro con i mestieri artigianali tradizionali, la ricerca e l’estensiva collaborazione con lo Studio, hanno reso questa mostra possibile. L’esibizione comprende ciò che è relativo alla tradizione, includendo lampadari, mobili e la scultura antropomorfa tradizionale, ma anche oggetti di uso quotidiano come Marble Takeout Box e MarbleToilet Paper, quest’ultima un argomento particolarmente importante durante la pandemia. Espongo anche i miei lavori più recenti con i Lego, un materiale che uso per creare opere d’arte bidimensionali. Il vetro è un materiale speciale, parte della vita di tutti i giorni, testimone della gioia, dell’ansia e delle preoccupazioni che coesistono nella nostra realtà. Al suo cospetto riflettiamo sulla relazione tra vita e morte, tradizione e realtà.
La mia collaborazione con Ai Weiwei inizia parecchi anni fa, quando andai a trovarlo mentre era agli arresti domiciliari. L’ho sempre ammirato come artista e sapevo di poterlo convincere a sperimentare con il vetro, un materiale con cui vale la pena sperimentare. Abbiamo iniziato con piccole cose, stampi della sua mano e poi del suo braccio, dando una nuova e vivida dimensione alla famosa serie fotografica dove Ai Weiwei porge il dito medio a luoghi che rappresentano il potere. Queste piccole sculture vitree hanno acceso quello che sarebbe poi diventato un nuovo suo interesse, e sono lieto che da quei primi incontri il nostro rapporto lavorativo, così come di amicizia, continua ad essere in divenire. Questa collaborazione in particolare va avanti da alcuni anni. Ai Weiwei ha fatto un salto nel Berengo Studio di Murano ogni volta che poteva per aggiornarci, ogni volta entusiasta di osservare le nostre creazioni, nel laboratorio di stampi quanto nella fornace stessa.
A ogni visita la versione finale sembrava sempre più vicina, avvicinandoci con ogni passo a questa colossale scultura sospesa. Poter vedere l’evolversi di un’idea, dal suo germogliare fino a diventare un progetto che cresce con costanza, è stato un viaggio condiviso con Weiwei, che ha sempre avuto grande rispetto per la manodopera e per le mani che passano anni a imparare una tecnica. In questo lavoro ha manipolato il suo interesse per l’artigianato creando una visione ampia, urgente, selvaggia e senza peli sulla lingua. Ha visto il vetro come materia e l’ha trasformato, creando in modo completamente originale il più grande lampadario in vetro di Murano mai realizzato. Non so nemmeno se può essere chiamato un lampadario. Questa enorme scultura sospesa in vetro nero rinnega ogni definizione; è diversa da qualsiasi cosa che sia mai stata fatta o vista. Parte della sua bellezza sta nel suo mistero, tragedia umana, commedia, disordine ingarbugliato che ognuno di noi deve cercare di risolvere con i tempi richiesti. La Commedia Umana non si nasconde in forme preesistenti ma emerge dai senza-corpo, scheletri e organi accatastati, per diventare un’architettura grandiosa che smentisce la semplicità degli ultimi.
Nonostante Ai Weiwei abbia iniziato a lavorare con noi a Murano molto prima della pandemia e della guerra in Ucraina, non si può non guardare alla statua monumentale come a un’opera che porta con sé il peso delle perdite collettive degli ultimi anni.
È un progetto che scuote gli animi, che obbliga a guardare in faccia la realtà della nostra mortalità, ma soprattutto a prendere coscienza del ruolo che le nostre vite giocano nel grande teatro della storia dell’umanità.
Dopo il suo sensazionale debutto a Roma, precedentemente quest’anno, sono molto fiero di poter portare questa maestosa scultura nel luogo in cui è nata, la laguna di Venezia. Nelle terme di Roma le ossa nere, che mutano impercettibilmente, sembravano dialogare direttamente con il mosaico parietale, che mima il lampadario con l’iscrizione antica “Gnothi sautòn” (conosci te stesso). A Venezia invece ci sono i preposti per una composizione molto diversa: al posto delle rovine di un impero antico l’opera è avvolta dall’architettura cinquecentesca della chiesa palladiana di San Giorgio Maggiore. La luminosità degli interni della chiesa fa risaltare meravigliosamente la tenebrosità del vetro nero, creando una sfera oscura al centro della luce, una contraddizione in termini. Riportata a Venezia, la sua dimora spirituale, la scultura non può che far riflettere sulle condizioni precarie della città e del suo delicato ecosistema lagunare. Il progresso e la varietà di opere d’arte che abbiamo avuto l’onore di creare collaborando con Ai Weiwei sono aumentati con gli anni, forse abbiamo iniziato con il semplice calco della mano dell’artista, ma ora ci troviamo all’ombra di una scultura monumentale scultura monumentale e di rilevanza storica. Nel contesto spirituale ecclesiastico abbiamo ottenuto qualcosa di ancora più profondo, la scultura si erge nello spazio sacro come un inno a Dio, un inno all’umanità, una scena potente che invoca la misericordia per le nostre anime mortali.