Di solito, nei film caratterizzati da tanto movimento, continui cambiamenti di scena, incessante interazione tra gli attori, la colonna sonora è interna al film stesso, fatta cioè di musiche che non sono fuori dalle scene, ma vengono prodotte direttamente ‘dentro’ e ‘dalla’ stessa scena.
In questo cinema iper-cinetico, che trova i suoi campioni in registi come Altman e Kusturica, i temi musicali raramente sono a commento dell’azione, ma escono dall’azione e ne fanno intimamente parte. È il caso della colonna sonora di Bardo, firmata dallo stesso Iñárritu («Prima di diventare regista volevo fare il musicista, ma ho le dita goffe») e Bryce Dessner, leader del gruppo rock The National ma anche affermato compositore di musica cameristica e sinfonica. In questo film dove inconscio, memorie e storia si intersecano necessariamente a creare un percorso che alterna autobiografia e riflessione sulla storia appunto (per cui il riferimento a 8½ non appare del tutto corretto), la colonna sonora offre una varietà di spunti e suggestioni di altissimo livello. Che si tratti di quel contrappunto basso-tuba e trombe che sentiamo all’inizio oppure del tema notturno della scena in cui Silverio Gama rincorre la moglie nella loro casa, in cui ci è parso citato il tema di Vertigo di herrmanniana memoria, oppure della canzone di David Bowie Let’s Dance che, come la Carrà ne La grande bellezza, fa scattare i corpi nella danza, ogni segmento musicale offre un livello di interpretazione della scena che oscilla tra umorismo nero, ansia, assenza di un centro di gravità permanente. E alla fine del film, come si ritrova il deserto dell’inizio, anche in musica ritroviamo quel tema degli ottoni che avevamo sentito nella prima scena, a conferma di una circolarità che è la chiave del film: la continua erranza
tra Messico e USA, tra Heimat e terra dei sogni.