Camaleontico, eclettico, raffinato. Paul Weller al Palazzo del Turismo il 24 settembre per una data che si fa happening.
Paul Weller torna in Italia per quattro date, a fine estate 2023, precisamente a Milano, Roma, Bologna e Jesolo. Nel Bel Paese non è una star da riempire stadi o spianate infinite, ma spazi medi da 2-3000 posti, sarà quindi il Palazzo del Turismo ad ospitarne il concerto il 24 settembre. Alla terza e credo ormai definitiva delle proprie vite artistiche, iniziate non ancora ventenne nel 1976, è sempre in splendida forma e tutt’altro che intenzionato a scendere dal palco. Le prime due vite, soprattutto la seconda, da noi sono quelle più conosciute ad un pubblico magari intenditore, ma non proprio fan. Comincia con i Jam sull’onda dell’esplosione punk con la spinta fondamentale del padre/manager John, quando con Bruce Foxton e Rick Buckley, due compagni di Woking, cittadina a una cinquantina di chilometri da Londra, ha modo di sviluppare un’identità precisa distinguendosi subito da Pistols e compagnia, ispirandosi invece agli adorati Beatles, The Kinks, Who e alla scena anni ’60. La band diventa leader del cosiddetto mod revival, scala le classifiche e cresce in popolarità disco dopo disco, ma ecco che, quando manca solo il balzo finale per raggiungere la fama mondiale, Weller improvvisamente lascia il gruppo. Nel 1982 chiude quindi l’esperienza Jam e con Mick Talbot fonda gli Style Council gettando nella disperazione una moltitudine di fan. Mentre post punk, new romantic e synth pop vanno per la maggiore, Paul e Mick propongono raffinate sonorità easy jazz, trascinanti ballabili di matrice northern soul e, nonostante la chiave pop predomini, testi che affrontano tematiche sociali e politiche importanti.
Col secondo album Our Favourite Shop arrivano primi in classifica nel 1985 ma come sempre, da buon modernista («Sono nato mod, sarò sempre un mod, mi seppellirete mod»), vuole andare oltre. The Cost of Loving spiazza di nuovo: stavolta è un album r&b, con numerosi richiami alla black music. Raggiunge comunque il secondo posto in classifica, poiché Weller nel 1987 è ormai diventato una figura importante e riconosciuta della scena inglese. Nel 1988 esce Confession of a Pop Group: contiene un lato acid jazz targato Talbot ed uno pop con perfino influenze reggae di Paul. È un buon lavoro ma le vendite lo bocciano. C’è ancora il tempo di riprovarci ma il successivo Modernism: a New Decade viene rifiutato dalla Polydor e uscirà solamente nel 1998. Allora basta così e nel 1990 intraprende la carriera solista. Riparte suonando in locali minuscoli, fregandosene bellamente di fama e visibilità, diventando poco alla volta quello che è forse il miglior cantore della quotidianità britannica. Da sempre piuttosto scorbutico con giornalisti e colleghi, ma molto disponibile con i fan, spesso controcorrente eppure pronto ad abbracciare cause importanti, impeccabile nel look, autore di una corposa discografia ma anche di innumerevoli collaborazioni, propone un live certamente legato più agli ultimi lavori ma non trascurando e rinnegando nulla del proprio passato, spazio per i classici ce n’è sempre. Oggi è un artista che può vantare una varietà ed una continuità qualitativa nel tempo come forse il solo Bowie è riuscito a fare in U.K. (Weller ha 8 figli e uno, guarda un po’, l’ha chiamato Bowie). Per chi volesse approfondire segnalo l’ottimo L’uomo cangiante di Antonio Bacciocchi (ed. vololibero) e di seguito tre dischi tre, uno per vita: con i Jam All Mods Cons (1978), con gli Style Council Our Favourite Shop (1985) e da solista Stanley Road (1995).