Fine anno a teatro al Goldoni di Venezia con uno dei testi più celebri di Shakespeare, Le allegre comari di Windsor, in cui l’autore inserisce il meglio del proprio repertorio: l’amore contrastato tra giovani, equivoci, scambi, travestimenti e beffe.
In scena dal 28 dicembre all’1 gennaio, l’originale versione diretta da Andrea Chiodi trasporta il micro-universo shakespeariano di Windsor e tutti i suoi personaggi in una sorta di country club immaginario, dove il tartan domina sovrano, dai costumi alle scene: le sue linee e i suoi quadrati evocano i confini e le gabbie dell’ipocrita conformismo borghese dell’epoca.
Leggenda vuole che Shakespeare scrivesse The Merry Wives of Windsor in soli 15 giorni per soddisfare il desiderio della regina Elisabetta I che, stregata dal pingue personaggio dell’Enrico IV, al grido di «More Falstaff, more Falstaff!», diede i natali a questa fortunata commedia al femminile, in cui le donne non sono le “allegre comari” del titolo (classico esempio di lost in translation), ma sono donne indipendenti, scaltre, libere di pensare e agire.
Tra vibranti giochi di farse, danze e colpi di scena, con l’iconica Eva Robin’s nei panni di Mrs Quickly a tessere il filo che unisce tutti gli inganni, le Mogli di Windsor si avventano sul miserabile Falstaff, reo di aver tentato di ingannarle, e con tutta la loro arguzia se ne vendicano facendosene beffe davanti all’intera città, che dalla sua disgrazia trae gran giovamento e sollazzo.
D’altro canto, come scrive Angela Demattè che cura l’adattamento, «serve una vittima, travestita da grasso potente borioso, perché un paese si accontenti delle sue piccole cose e non si deprima dell’essere ormai relegato al margine delle grandi decisioni politiche». Un monito che il Bardo aveva lanciato oltre quattro secoli fa, ma che sarebbe meglio tenere sempre presente, soprattutto in tempi di buoni propositi…