Dopo aver percorso Venezia alla ricerca delle più belle Natività e presepi e aver seguito la stella cometa alla ricerca delle raffigurazioni dei Re Magi, quest’anno abbiamo voluto raccontare la storia di Santo Stefano seguendo le sue ‘tracce’ nell’arte.
Dal 1947 in Italia il 26 dicembre, Santo Stefano, è diventato festivo con lo scopo di prolungare di un giorno il ponte di Natale, diventando tra le festività la giornata per eccellenza più rilassante e distesa. I pranzi e le cene in famiglia dei giorni precedenti (il 26 dicembre al massimo si consumano gli avanzi) si sostituiscono con passeggiate, sciate o attività all’aria aperta, visite ai parenti, giochi – tra tutti la tombola – e l’immancabile cinema. Noi, dopo aver percorso Venezia alla ricerca delle più belle Natività e presepi tra chiese, scuole e collezioni e aver seguito la stella cometa alla ricerca delle raffigurazioni dei Re Magi (Epifania), quest’anno abbiamo voluto raccontare la storia di Santo Stefano e naturalmente offrire un nuovo percorso di scoperta tra arte, leggenda e tradizione. Seguiteci!
La celebrazione liturgica dedicata a Santo Stefano è stata fissata al 26 dicembre, subito dopo la nascita di Gesù, proprio per metterne in evidenza la sua vicinanza. Stefano è infatti il primo martire della cristianità, più comunemente definito il “protomartire”, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo e per la diffusione del Vangelo. A Venezia il culto per questo Santo è ben rappresentato, non solo dalla monumentale e bellissima chiesa gotica a lui dedicata proprio in Campo Santo Stefano, sorta alla fine del XIII secolo per volere degli Agostiniani che tanto lo veneravano, ma anche grazie alla tradizione delle sue reliquie giunte a Venezia nel 1110 e conservate sull’isola di San Giorgio Maggiore. Sede di uno dei più antichi monasteri benedettini, completamente ricostruito in forme rinascimentali, la chiesa di San Giorgio è co-titolata a Santo Stefano, come si vede chiaramente in facciata con la presenza delle statue di Giorgio e Stefano entro nicchie e all’interno della chiesa con l’altare a lui dedicato. Era tradizione che il doge il 26 dicembre, tra gli appuntamenti annuali che lo vedevano protagonista, sfilasse in processione per far visita alle reliquie del Santo e che seguisse un “allegro” banchetto che segnava l’inizio del lungo Carnevale di Venezia che durava fino al giorno delle Ceneri. Come spesso accadeva in città il sacro e profano si contaminavano!
Ma facciamo un passo indietro e andiamo a riscoprire la storia di Stefano, e per farlo non potevamo trovar miglior narratore di Vittor Carpaccio, storyteller d’eccezione, permettendoci così di omaggiare anche il Maestro e chiudere in bellezza – è il caso di dirlo – il 2023, anno carpaccesco, al quale abbiamo dedicato nutrite pagine di Venews. Il pittore veneziano realizza tra il 1511 e il 1520 il suo ultimo straordinario ciclo di teleri narrativi per la confraternita di Santo Stefano, tra le più antiche associazioni devozionali di Venezia. Fondata nel 1298, la prima sede si trovava all’interno della chiesa degli eremiti agostiniani di Santo Stefano, ma già nel 1437 i confratelli decidevano di dotarsi di una nuova sede eretta di fronte alla chiesa stessa. La composizione sociale di questa fraterna vide l’emergere nei decenni successivi, in corrispondenza dell’esecuzione della decorazione interna, di un cospicuo nucleo di lapicidi di provenienza lombarda, ed è molto probabile che la sovrabbondanza di architetture, elementi scolpiti, cippi, ninfei, obelischi che costellano i teleri di Carpaccio derivi proprio da queste presenze. Ricordiamo che Stefano è protettore di diaconi, frombolieri, muratori, scalpellini, selciatori, tagliapietre… La decorazione interna della Scuola di Santo Stefano culminò con la realizzazione dei dipinti per la Sala dell’Albergo al piano superiore, un ciclo di cinque teleri di Carpaccio e una pala di Francesco Bissolo (Trittico di Santo Stefano, con Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino), che oggi si trova a Brera. Osservando attentamente la facciata dell’edificio di fronte alla chiesa esiste ancora un bassorilievo quattrocentesco murato che riproduce, all’interno di una cornice trilobata, Stefano incoronato da pietre, con il libro e la palma del martirio, suoi inconfondibili attributi, venerato dai confratelli inginocchiati.
Le soppressioni napoleoniche non mancarono di smantellare il patrimonio pittorico della Scuola, ora diviso tra diversi musei, ad eccezione di un dipinto andato disperso, ma noto attraverso un disegno del pittore oggi conservato agli Uffizi che raffigura Stefano condotto in giudizio. Carpaccio narra una vicenda spirituale che è alle radici del Cristianesimo, ispirandosi, come spesso faceva, alla Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, anche se nei suoi teleri la figura di Stefano ruota attorno al ruolo di predicatore e servitore della chiesa nascente. L’antefatto, narrato negli Atti degli Apostoli, è relativo ai violenti contrasti tra ebrei ellenisti e ebrei palestinesi riguardo al trattamento delle vedove dei greci: per calmare le proteste gli apostoli affidano a sette diaconi, tra cui Stefano, la distribuzione quotidiana di cibo in precedenza assegnata alle vedove. Stefano, dopo la consacrazione a diacono, inizia a compiere miracoli e prodigi che, uniti a una fervida attività predicatoria, scatenano l’invidia degli ebrei che infliggeranno tormenti al giovane Stefano fino all’atroce lapidazione e alla morte.
Nella Consacrazione di Stefano e degli altri diaconi (Berlino, Staatliche Museen) del 1511, il pittore mette in scena l’ordinazione del giovane Stefano da parte di San Pietro attraverso l’impositio manus avvenuta sui gradini del Tempio di Salomone a Gerusalemme, che Carpaccio trasforma in una chiesa cristiana dal sapore classicheggiante, inserita in un contesto che vuole richiamare una città ideale fondata sulle rovine del mondo pagano. Oltre ai sette diaconi e agli apostoli, posti all’estremità destra del tempio, una folla di persone dai bellissimi abiti variegati assiste al rito.
Nella Predica di Santo Stefano (Parigi, Louvre) del 1514, il Santo parla alla popolazione di Gerusalemme sopra un antico podio con una mano rivolta verso il cielo sotto lo sguardo assorto di una folla rapita di cristiani, ottomani, mammalucchi e greci. Carpaccio mette in evidenza le doti di Stefano di brillante predicatore del verbo divino. Sembra una statua antica sullo sfondo di una Gerusalemme fantastica.
Nella Disputa di Santo Stefano (Milano, Brera) del 1514, forse il più noto della serie, sotto un raffinato portico in stile lombardesco l’abilità di Stefano come oratore è messa alla prova con gli anziani ebrei. Il giovane diacono enumera i punti della discussione con le dita della mano sotto lo sguardo sconcertato degli interlocutori. I bellissimi libri, resi con effetti di magistrale trompe-l’oeil, suggeriscono il tema della disputa accademica, ma sono quei personaggi in toga nera e rossa che colpiscono per la loro realistica presenza, forse sono proprio i committenti del pittore, quei confratelli architetti e scultori lombardi.
Nella Lapidazione di Santo Stefano (Stoccarda, Staatsgalerie) del 1520, il Santo, inginocchiato con lo sguardo rivolto verso una visione celestiale, viene condannato per blasfemia e lapidato a morte da una folla inferocita nei pressi di Gerusalemme. Nella scena affastellata da folla abbigliata in abiti ottomani, si nota una figura che siede tra i mantelli dei carnefici in basso a sinistra: è Saulo di Tarso che di lì a poco vivrà la sua conversione al cristianesimo sulle vie di Damasco.