Fino al 30 giugno Le Gallerie delle Prigioni di Treviso ospitano la mostra Out of Place, con i lavori di 162 artisti che vivono o hanno vissuto nei campi e insediamenti per rifugiati in tutto il mondo. Una pluralità di storie che, distribuite nei cinque continenti, testimoniano come la condizione di rifugiato sia accidentale e rivendicano ciascuna la propria unicità.
Le Gallerie delle Prigioni nel pieno centro di Treviso, casa di Fondazione Imago Mundi, voluta e sostenuta da Luciano Benetton, riesce sempre a sorprendere i visitatori con le sue mostre in cui l’arte è il medium ideale per favorire un risveglio delle coscienze verso temi globali e sempre di strettissima attualità. Luogo nato ed utilizzato per recludere è divenuto spazio di inclusione e di somma apertura. Lo dimostra ancora una volta la nuova esposizione Out of Place. Arte e storie dai campi rifugiati nel mondo, che dal 7 marzo fino al 30 giugno racconta storie artistiche provenienti direttamente dai campi di rifugiati in varie parti del mondo. Curata da Claudio Scorretti, Irina Ungureanu e Aman Mojadidi, la mostra prende le mosse dalla più recente collezione di Imago Mundi, che, nel suo percorso di mappatura globale dell’arte contemporanea, ha chiamato a raccolta 162 artisti che vivono o hanno vissuto in campi per rifugiati e hanno realizzato le 174 opere in formato 10x12cm, tratto distintivo di Imago Mundi Collection, esposte nelle stanze della vecchia prigione austriaca.
Già nella scelta della forma espositiva, con i piccoli quadri in mostra singolarmente, a significare una pluralità nel tema, ma un’individualità e una lunga teoria di vissuti dietro ad ogni espressione pittorica, si rimane colpiti dalla complessità geo-politica che sottende alla questione di portata planetaria, in cui emerge nitidamente un concetto, troppo spesso trascurato dalle miope visioni nazionalistiche o peggio ancora patriottiche: la condizione di rifugiato è accidentale. Ciascun individuo può trovarsi, per appartenenza a una determinata etnia, per motivi politici o altro, in questa per niente facile situazione di vita, ogni rifugiato è una persona e non una massa indistinta di persone senza volto, ciascuno ha una propria vicenda, unica ed irripetibile che ha affidato alla tela e merita rispetto e considerazione, aspetti negati da un’informazione distorta che legge la questione solo come un problema per quella parte di mondo troppo distratta dal proprio egoismo. Le aree di provenienza degli artisti vanno dall’Afghanistan al Myanmar e al Vietnam, dalla Palestina al Kurdistan e alla Siria, dal Burundi all’Etiopia e alla Somalia, dalla Costa d’Avorio al Sudan, e da altre zone ancora – tutti luoghi che ci parlano di crisi multiformi, che siano conflitti armati, persecuzioni etniche o religiose, catastrofi naturali, violenza o altro – e i Paesi di accoglienza sono allo stesso modo distribuiti ovunque, dall’Uganda al Kenya, dal Nord America alla Germania, dal Bangladesh al Regno Unito, all’Italia.
A questa multiforme e realissima visione allargata del mondo si aggiungono tre potenti installazioni create specificamente in occasione della mostra da artisti già presenti in collezione: il curdo Rushdi Anwar presenta il lavoro Reframe “Home” with Patterns of Displacement, in cui frammenti di tappeti sono posti gli uni accanto agli altri, generando così spazi vuoti e irregolarità nei disegni che rimandano alla precarietà della vita dei rifugiati; Laila Ajjawi, street artist palestinese, ha prodotto un intervento artistico su tela che richiama i murales che normalmente dipinge nei campi per rifugiati; il fotografo Mohamed Keita, originario della Costa d’Avorio e giunto a Roma a 14 anni nel 2007, ha realizzato infine una serie di ritratti corredati dalle interviste del giornalista Luca Attanasio.
Out of Place alle Gallerie delle Prigioni è frutto di un percorso curatoriale coraggioso, efficace e importante, in sintonia con la funzione anche sociale dell’arte che da sempre può e sa guardare oltre le “sbarre” ideologiche.
Guarda in esclusiva il video Bado Mapema / È troppo presto, 2020, clip musicale incluso nella mostra di Fondazione Imago Mundi, ideato da Mlay Aza, Queen Lisa e Mercy Akuot.