Un viaggio lungo 10 anni

Giovani autori raccontano il lavoro della Fondazione Sardegna Film Commission
di Redazione VeNews
  • venerdì, 2 settembre 2022

Un altro pezzo di Sardegna, un altro pezzo di cinema. Giovani autori coinvolti dalla Fondazione Sardegna Film Commission per raccontare 10 intensi anni di attività e valorizzazione di un territorio sospeso tra tradizione e contemporaneità. Una perfetta riscrittura che mette al centro le persone che hanno contribuito ai traguardi raggiunti dalla Film Commission.

 

Un racconto
di Andrea Pau

Quel treno per Arbatax

Mi chiamo Narciso, vivo a Gairo e da grande voglio fare l’attore. Davvero, mì.
Il problema è che ho ottantasei anni: sono “grande” almeno dal 1955. Per questo ho deciso che è venuto il mio momento. Andrò ad Arbatax, prenderò il traghetto per Civitavecchia e domani sarò a Roma. A Cinecittà. Volevo andare a Ollivùd, a dirla tutta, ma ho chiesto a Nando, il padrone del bar, e traghetto per Ollivùd non ce n’era. Una volta lì, nella patria del cinema italiano, cercherò un regista e un film. Sono sicuro di farcela: la memoria mi funziona ancora (se volete vi recito unu mutetu, una poesia della mia zona), la faccia ce l’ho, il portamento anche. Da giovane mi chiamavano il Glenn Ford di Gairo perché sembravo un attore americano e non mi perdevo un film, al salone parrocchiale e alla televisione…

Ho caricato un borsone con i migliori abiti (che poi è uno, quello di quando è morto babbo) e Nando mi ha portato alla fermata del trenino verde. Da Taquisara impiega quattro ore per arrivare ad Arbatax. Sono sessanta chilometri, ma l’ho scelto perché si ferma a lungo in ogni stazione. Mi dà il tempo per salutare casa mia e farlo piano piano, con i miei tempi. Solo per bere il caffè al bar, prima della partenza, ci ho messo due ore. «Era davvero un caffè lungo!», ha detto Nando. Per fortuna la nave parte alle due di notte, sei ore dopo l’arrivo. Perdere tempo è un lusso, quando di tempo te ne rimane poco. E dato che i lussi sono roba da divi del cinema, mi è sembrata una buona idea. E poi ho scelto il treno anche perché mi somiglia: questa carrozza starà per raggiungere il secolo!

Questa carrozza starà per raggiungere il secolo, e anche il motore deve avere la stessa età, dato che già alla prima fermata il capotreno, un giovanottone sudato con la faccia da doppio Averna, avvisa che la sosta si allungherà di «centottanta minuti». Poco male, ho ore in avanzo.
«Va anche lei ad Arzana?»
Nemmeno me ne sono accorto, ma sulla panca di fronte c’era seduto un tizio. Lo guardo meglio. Mi mancano le parole. È coso, il cantante, C’era un ragazzo che come me, parlami di te bella signora. Era a Gairo anche lui? E perché Nando non mi ha detto nulla? Nando sa tutto di quel che succede in paese, eccetto delle corna che gli faceva la moglie buonanima.
«Va anche lei ad Arzana?», ripete, con un sorriso nuovo nuovo.
«No, no, arrivo alla costa. Devo prendere la nave e andare a Cinecittà, per fare l’attore.»
«L’attore! Complimenti! Ma lo sa che sono attore anche io?»
«E certo che lo so. Sono andato al cinema ogni sabato, per una vita, fino al virus. In ginocchio da te, 008 Operazione Ritmo… i musicarelli. Se mi tornavo a quell’età!»
«Non c’è bisogno, guardi che sto recitando ancora. Per farlo non sono dovuto nemmeno andare a Roma. Abbiamo girato a Carloforte. La conosce Carloforte?»
«L’isola dei genovesi e dei tonni?»
«Proprio.»

Ho masticato le gengive. Si imparano ancora un sacco di cose, a ottantasei anni. Davvero, mì. «Mica lo sapevo che c’era il cinema a Carloforte. Ma da molto?»
«Noi abbiamo fatto una serie tv sei anni fa, ha avuto un sacco di successo.»
Mentre passeggiavamo per Villagrande mi ha raccontato tutta la storia del telefilm, che lui era un dottore pieno di amici, ed emozioni, e storie d’amore… Non la finiva più. Già gli piace poco, parlare. Io gli ho detto che sono il Glenn Ford di Gairo e lui ha detto «Ah».
Ha continuato a chiacchierare anche quando il treno è ripartito. Poi ad Arzana il cantante mi ha dato la mano, che sembrava una foglia di fico d’india, ha detto «Buona fortuna» ed è sceso. Manco l’ha salutato, il capotreno! Certo che l’educazione non la insegnano a scuola.

L’educazione non la insegnano a scuola. E quando ci andavo io, nemmeno l’inglese.
Altrimenti riuscirei a dire qualcosa: a Lanusei ho trovato un altro attore, un americano. Alto, capelli grigi, si era messo con quella velina di Sassari, come si chiama. Piace alle donne. Quando la moglie di Nando sfogliava Novella2000 diceva che
era «proprio affascinante». Vabbe’ che per lei erano quasi tutti “proprio affascinanti”, buonanima.
«Bello il panorama qua attorno», dice lui. In italiano. L’avrà imparato dalla sassarese.
«Eh, bello già è bello. Un po’ monotono, per me che lo vedo da ottantasei anni.»
«È bello, altroché. Lo lasci dire a me che ho girato il mondo. È ancora così incontaminato. Fate bene a rispettarlo.»
«Se lo dice lei. Ne avrà visto di posti, dagli aerei che ha preso.»
«Vero. Ma è un po’ che volare mi piace poco.»
«Ah sì?»
«Sì. Ultimamente ho girato una serie tv sui piloti della seconda guerra mondiale. Caccia, bombe, battaglie. Siamo venuti anche in Sardegna per alcune scene.»
«Mica lo sapevo che qui fanno tutti questi film. Ma da quando?»
L’attore proprio affascinante si pizzica la barba di due giorni: «Le produzioni internazionali hanno iniziato con me, dal 2019. Ma sono dieci anni che è facile fare cinema dalle tue parti.»
Dieci anni! Possibile che non ne so niente? Me l’avessero detto ci avrei provato prima. E sì che dopo il caffè leggo sempre il giornale, da Nando. Politica, sport. I necrologi. Controllo sempre di non esserci.
La sosta si allunga ancora e lui parla per ore e ore. Della natura, dei progetti per conservarla, di usare l’energia del sole per fare il cinema: mi fa una testa così di robe noiose che non capisco. Finalmente, quando il capo urla: «Elini, stazione di Elini», l’attore mi saluta e se ne va. Anche a lui, il capotreno non lo degna di uno sguardo. Davvero, mì, proprio come un mulo!

Proprio come un mulo si è piazzata sul sedile qui davanti e non ha fatto nemmeno un gesto con la testa, o sollevato la mano. Un ciao ciao, un buongiorno. O buonasera, dato che il sole è tramontato e siamo passati da Tortolì con cinque ore di ritardo. Mi sa che la nave mi lascia a terra, ho paura.
A lei invece non gliene importa nulla. Io la fisso, lei mi fissa. Una bambina che avrà dieci anni, occhi castani, capelli rossi come stoppie in fiamme e una caccola nella narice. Lo schifo. Il treno va, lei continua a scrutarmi.
«Molto da guardare c’hai, o su tziu?», mi chiede a un tratto.
Figlia di qualche contessa, dev’essere.
Rispondo: «C’hai un topo di naso pendi pendi, piciochedda. Pulisciti.» Il naso ma anche la bocca con il sapone, voglio aggiungere. Ma sto zitto.
Quella si pulisce con l’orlo della maglietta bianca, adesso ha uno sbuffo sul davanti che sembra quel marchio americano di scarpe da tennis.
«Perché viaggi da sola?», le domando.
«E tu?»
«Perché io sono solo.»
«Anche io. I miei genitori non sono più con me.»
Sto zitto, non so che dire, mi disturba se un giovane crepa prima di me.
«Sto scherzando: i vecchi sono rimasti a Tortolì. Vado da nonna, in vacanza ad Arbatax.»
La pipia ci gode a farmi sorprese. Faccio lo stesso: «Io vado a Roma, sono un attore.»
«Anche io.»
«Sai dire solo questo?»
«No, so anche le parolacce tipo fill’e…»
«Ho capito, ho capito. Quindi hai fatto film?»
«Sì, l’hanno anche candidato per l’Orso d’oro, a Berlino. Non devi mica andare in continente per fare film. Esiste pure un documentario che parla di questo treno… Ormai in Sardegna il cinema lo fanno fisso, da dieci anni.»
«Anche una bambina ne sa più di me», sbuffo. «Ma perché dieci anni? Me l’hanno già detto altri…»
«Eh, nonno. Da dieci anni qui c’è gente che dà una mano ai registi, alle attrici… A chi fa film. Hai capito?»
«Non ho capito, ma grazie lo stesso. E comunque non sono tuo nonno.»
«Grazie a Dio.»

Grazie a Dio dopo restiamo in silenzio come la campagna fuori dal finestrino; c’è solo il rumore del treno che fa gli ultimi cinque chilometri e una luna grande, rossa. Poi la locomotiva fischia e il giovanottone sudato annuncia che siamo arrivati ad Arbatax. È l’una e mezza passata. Chissà se riesco ad arrivare in tempo alla nave per Roma. Chissà se ne ho ancora voglia.
La bambina mi sorride per la prima volta: «Ciao, Glenn.»
Come fa a conoscermi? Impiego qualche secondo di troppo a prendere il borsone, e quando scendo dal treno lei non c’è più. La stazione di Arbatax è deserta, più deserta di casa mia.
«Oh, capo», chiedo al ragazzo. «Dov’è andata sa pipia?»
«Chi?»
«La bambinetta con i capelli rossi, seduta di fronte a me.»
Lui si gratta la pancia attraverso la camicia azzurra tutta chiazze.
«Oggi sul trenino verde hai viaggiato solo tu, oh Glenn Ford.» Dice. «E meno male, visti i problemi che abbiamo avuto. E il motore, e la sosta lunga, e i binari roventi. Questa carretta è lenta, ma mai così. Sembrano passati dieci anni da quando siamo partiti.»
Deve aver bevuto tutta la bottiglia di Averna, oggi.
«E il cantante? E l’attore americano?»
«Oh Glenn, vai a coricarti, che è tardi. C’eri solo tu!»

Poverino, così giovane e già fuori di testa. Un po’ mi dispiace.
Davvero, mì.

Andrea, agosto ’22

 

 

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