Al cinema, tra le stelle

Continua il viaggio alla scoperta dei diversi modi di fare cinema in Sardegna
di Redazione VeNews
  • domenica, 4 settembre 2022

Con la propria sensibilità, il proprio sguardo, la propria arte, dieci giovani autori hanno reso l’impossibile possibile: raccontare un percorso lungo dieci anni della Fondazione Sardegna Film Commission.

Un racconto
di Vanessa Aroff Podda

Il Casting

Stavano uno di fronte all’altra, la donna sentiva gli occhi del santo su di lei come due semi neri tra la polpa dell’uva, temeva di ubriacarsi di vergogna. Lo implorava, non gli toglieva gli occhi di dosso, sembrava più una sfida che una preghiera. Rimasero in quell’orrenda attesa per lo stesso tempo in cui un giglio sboccia al sole, poi la donna si fece coraggio, chiuse a chiave la sacrestia, si cambiò e sistemò l’abito e il fazzoletto dentro una busta.

«Samantha Cristoporetti? No. Cristocerotti? No, è sbagliato. Franca mi ha detto che devo ricordare il Cristo e i buchi lasciati dai chiodi. Samantha Cristobuchetti? Non ho più memoria. Bugia, ce l’ho, sono i foretti. Si chiama Samantha Cristoforetti e sul giornale ho letto che faranno un film. Un film tutto su di lei. Su di lei che studia, che va nello spazio e nello spazio non deve lavare i piatti, non deve cucinare. Ta bellu!»¹

Mariolina aveva settantadue anni e la mattina di quel primo maggio era arrivata dal santo che il sole sembrava uno spicchio di pompelmo sulla schiena di un cane. Lei e le consorelle avevano il compito di preparare Efisio per la festa grande. Il grosso era già stato fatto.

L’elmo coi pennacchi colorati, come un mazzo di spighe del carnevale, in un angolo della stanza quasi si animava. Si sarebbe detto che da un momento all’altro sarebbe uscito in processione da solo, se ne sarebbe andato al mare, a fare colazione sotto i portici, oppure avrebbe preso un pullman per Nora, ad aspettare il santo come le altre persone. Mariolina si sentiva una piuma colorata del pennacchio del santo. Che detta così sembra un’ingiuria per screditare, ma lei ne andava fiera, dentro si sentiva un carnevale.

«Sul giornale hanno scritto che cercano delle persone per il film. Che cosa se ne fanno di tutta questa gente se quella ha passato la sua vita in mezzo alle stelle del cielo, da sola? Un po’ mi vergogno di dirlo, ma io sarei bravissima a fare Samantha Cristo Itasinanta,² da vecchia certo. Sono come lei, ho vissuto la mia vita in mezzo alle stelle del quartiere mio, sola».

L’ansia per i preparativi aveva trasformato la chiesa nell’arena di un combattimento tra galli. Artigli affilati graffiavano l’aria, arruffavano i capelli cotonati delle signore, tramortivano le dinoccolate donne di fede. Quando le consorelle si spostarono dalla sacrestia alla cripta, Mariolina fece il patto col santo. Nel tempo dello sbocciare del giglio, la donna promise a Efisio che sarebbe tornata per tempo, che sarebbe stata come sempre al suo fianco e che nessuna si sarebbe accorta di niente. Trentacinque anni fedele servitrice del santo guerriero, non temeva rivali. Si sentiva in colpa e allo stesso tempo si percepiva più coraggiosa dell’astronauta che non lavava i piatti.

“Se lo vengono a sapere ci faccio una bruttissima figura, Franca non mi rivolge più la parola, mi tolgono il rosario. Ma io l’ho chiesto a Efisio, lui mi ha detto che posso andare. Che vergogna se mi scoprono, sono pure capo priorissa, alla mia età queste cose non si fanno. Mariolina, guarda che ogni lasciata è persa e sono più quelle che hai perso di quelle che hai trovato. Tocca, bai a su casting.”²

Lunghe pennellate espressioniste di rose, gerbere e menta indicavano alla donna dove passare. Sempre dritta, poi gira a destra e cammina veloce verso la fermata più vicina.

«Libera la mia vita dalla spada e il mio amore dal potere del cane. Salmo 22. Ta dannu³!».
La carne della donna, fasciata dal nylon delle calze, si irrigidiva e gonfiava a ogni passo. Un pinocchio di legno umano, tondeggiante come una dalia, attraversava la piazza, le strisce pedonali, saliva sul pullman e si stringeva stretta la busta al petto.
«In un’ora vado e torno, ho detto a Franca che devo fare una visita medica per quei dolori alla testa. Deus m’at a perdonai po custa fàula!». ⁴
Mariolina aveva la tachicardia, la quotidiana dose di Alprazolam non poteva competere con l’eccezionale dose di vitalità.
Il pullman si fermò davanti al numero ventidue, come il salmo del cane, aveva studiato il tragitto tutta la settimana, sapeva dove andare. Ma quando girò l’angolo si ritrovò di fronte una fila di donne sue coetanee.
«E queste quando sono arrivate? Pensavo di essere la prima. Dovevo essere la prima».
«Scusate, lasciatemi passare, non ho molto tempo, sono capo priorissa».
Qualcuna le fece notare che se fosse stata capo priorissa di certo non si sarebbe trovata lì, il primo maggio, per la festa di Sant’Efis martiri gloriosu. La donna sentì scivolare la busta dalle mani, pensava ai semi d’uva del santo, chinò la testa per la vergogna. Avevano ragione loro, che ci faceva lì? Tra le grida di disappunto raggiunse il capo della fila. Si rivolse a una ragazza che teneva una cartella con dei fogli.
«Mi chiamo Mariolina, ho telefonato, devo fare il casting per l’astronauta, sono capo priorissa».

Alla ragazza non importò granché del grado di capo priorissa, le diede un numero e la spedì alla fine della fila. Ultima. A nulla valsero le proteste della donna. Ultima. Quanto avrebbe dovuto aspettare? Ultima di dieci persone. Non ce l’avrebbe fatta a tornare per tempo. Il nylon delle calze non reggeva più la carne.

«Ragazzina, faccia portare delle sedie che alla nostra età le forze sono quelle che sono».
Doveva sedersi, ragionare, capire cosa fare. Pensava all’abito dentro la busta, al fazzoletto stropicciato, non era mai andata alla processione con i vestiti sgualciti. La sua esistenza poteva terminare lì, al provino per il film di quella col nome assurdo. Assurda era stata la sua vita, assurdo perdere il marito così giovane e ancora più assurdo perdere il figlio in mare. Matteo lo avevano seppellito con una camicia rosso granata, Maurizio invece lo avranno vestito le lunghe frange di poseidonia e i potenti e astuti coralli avranno ricamato sulla carne le preghiere della madre. A questo punto l’unica cosa meno assurda di tutte sarebbe stata che se ne andasse all’altro mondo in quel preciso momento, al casting per il film di Samantha Cristoforetti.

«Ih no, che vergogna, quelle bigotte neanche verrebbero al funerale. No, non posso morire qui».
Mentre il sudore le incoronava la fronte pensava a come avrebbe sopportato il disonore dopo trentacinque anni di servizio. Era intenta a mortificarsi quando un giovane mingherlino coi baffi lunghi e sottili le porse una sedia di plastica. Mariolina afferrò la sedia e spostò lo sguardo da se stessa al giovane. Si guardarono, da qualche parte sbocciarono i gigli.
Il sangue della donna straripò dal cuore e scappò via. In questa nuova versione artica si aggrappò con forza alla sedia e continuò a fissare il giovane.
Sbocciarono altri gigli.

«Sei tu? Efisio, sei tu?».
La voce della donna si percepiva appena. Il giovane annuì.
Era proprio lui, Efisio, il santo.
«Sei venuto a prendermi? Cosa ci fai?».
La donna si guardò attorno, nessuna a parte lei lo aveva riconosciuto.
Il ragazzo le fece l’occhiolino.
«Efisio, sono morta? Dobbiamo andare via? Ci stanno aspettando?».

Il giovane fece di no con la testa, fece sedere la donna, parlò con la ragazza all’ingresso e tornò dentro. Mariolina si abbandonò sulla sedia, lo sguardo perso, la lingua incollata al palato come un’ostia, formicolio ai piedi e alle mani. Il giovane mingherlino uscì poco dopo, disse qualcosa alla ragazza e questa urlò il nome di Mariolina. La donna, con i nervi a scabeccio, saltò in piedi. La invitarono ad entrare.

La capo priorissa non era più in grado di intendere e di volere, cercava con la coda dell’occhio il santo baffuto e non sentiva, tanto meno capiva, quello che la regista le chiedeva. Le fecero leggere un dialogo, le chiesero di raccontare che cosa avesse mangiato a colazione, cosa avesse fatto appena sveglia e come si sentisse. Si sentiva come un orso polare nel suq di Casablanca, guardava l’obiettivo della macchina da presa con il timore che da quel buco nero uscisse il diavolo. Il corpo era sempre più duro, teso, sembrava un chiodo di ferro.

«Cumenti at fatu Efis a imbucai innoi,⁵ l’hanno detto anche al telegiornale che ormai il cinema lo fanno solo le donne».
Va bene Mariolina, le faremo sapere. Il ragazzetto baffuto l’accompagnò fuori, le prese la busta e assieme se ne andarono alla fermata del pullman. La donna camminava a testa bassa, non sapeva più cosa pensare.
«Ma se tu sei qui allora di là chi ci sta?».
Il santo alzò le spalle. La donna non pensava più al provino, all’astronauta, a lavare o non lavare i piatti, ogni tanto si girava verso il giovane, sorrideva, si guardavano per il famoso tempo del giglio e poi tornavano come prima.
Passò una volante della polizia a sirene spiegate, poi diversi blindati. Un elicottero si sollevò in cielo. Il pullman non arrivava.
«Al tuo posto di là chi ci sta?».
Ancora volanti della polizia, blindati. Una pattuglia dei carabinieri si accostò ai due e suggerì di allontanarsi dalla strada, i mezzi non circolavano.
La città era in allarme rosso.

«Efisio, dimmi la verità, di là, in chiesa, se tu sei qui, al tuo posto chi ci sta?»
E il santo rispose «Nessuno».

 

Note:

¹ Che bello!
² Come si chiama.
³ Muoviti, vai al casting!
Che guaio!
Dio mi perdonerà per aver raccontato questa bugia.
Come avrà fatto Efisio a intrufolarsi qui dentro.

 

 

 

 

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