Il regista Salvatore Mereu presenta Bentu, suo sesto lungometraggio, in concorso alle Giornate degli Autori. Ancora una volta è la terra sarda, aspra e ancestrale, la protagonista assoluta, insieme ad un vecchio contadino e un giovane ragazzo.
Una vita che scorre secondo un ritmo che è molto differente dalla velocità con cui siamo soliti consumare ogni cosa. Il suo film parla di un tempo apparentemente lontano, mentre è solo un passato non così remoto.
La velocità è un concetto contemporaneo. Nelle comunità contadine era un sentimento in un certo senso estraneo. Quando ho letto il racconto di Antonio Cossu, che ha ispirato Bentu, ciò che mi ha maggiormente colpito è stato l’inevitabile rapporto che questo uomo anziano ha con la natura e con le sue regole che non possono essere aggirate o disattese. È lui che deve aspettare il vento per poter spagliare, cioè separare il grano dalla paglia, pratica una volta diffusa nelle civiltà contadine prima dell’avvento delle trebbiatrici nei campi, però capita che il vento faccia le bizze e non soffi, costringendolo a rimanere più del tempo dovuto in campagna. Questo significa che in realtà non possiamo controllare la Natura. Ciò che mi ha maggiormente colpito in questo racconto è stata proprio la dimensione del tempo sospeso, della sfida dell’uomo con la natura, del difficile approdo alla modernità, quando ci sono i sedimenti di una grande società arcaica che resiste. Noi siamo ospiti della Natura e la lentezza non rappresenta di per sé un valore assoluto, ma all’interno della comunità a cui il vecchio appartiene è la cifra giusta per porsi in rapporto con l’ambiente circostante. Ho evocato questa dimensione con la doverosa premessa che se la nostra abitudine è di vedere un film pensando alla quantità di accadimenti che ci sono nei primi quindici minuti, perché questo vuole l’algoritmo che governa una piattaforma, ecco questo non è certamente il film adatto. La chiave di lettura del film potrebbe essere l’esplorazione di una soffitta che non si visita da molto tempo, una storia sul tempo e sulla capacità di saperlo vivere senza fretta, un film sul rapporto tra i due protagonisti e sulla pazienza, che con il nostro correre quotidiano abbiamo dimenticato.
Il rapporto con la sua terra è molto stretto, quanto essere un isolano ha guidato il suo lavoro?
Appartiene alla mia formazione, al mondo da cui provengo. Io sono isolano, vengo da una società che a lungo è stata isolata, prima di essere messa di colpo al centro del mondo dal turismo. Questo essere la Sardegna un luogo fuori dal tempo spesso crea un conflitto con il modo in cui viene vissuta oggi. Noi vediamo questa contraddizione ogni volta che si affaccia la stagione turistica, non perché siamo fuori dal tempo, ma perché in noi il legame con la terra di appartenenza è nel DNA ed è più forte che da altre parti. Non ci siamo dimenticati da dove proveniamo. In un mondo in cui tutto viaggia a folle velocità ed è in continua trasformazione, vivere nel rispetto delle proprie origini avvalora la provenienza e va aggiunto anche che il mare ci ha fatto da muro di cinta. Non voglio in alcun modo demonizzare il progresso e la civiltà futura, non siamo nostalgici dell’Arcadia! Tornando al film il racconto è ambientato nella seconda metà del secolo scorso, quando questa trasformazione ha avuto inizio.
Liberamente tratto da Il vento e altri racconti di Antonio Cossu (edizioni AEDES, Cagliari), Bentu è la storia di un incontro e scambio tra generazioni, della sfida tra l’uomo e la natura, ma, scrive Mereu nelle note di regia è anche «la storia di un’amicizia, ...
Il film è realizzato in collaborazione con l’Università di Cagliari.
È un’esperienza che porto avanti da anni con l’Università, alternando l’attività di regista a quella di formatore. Tengo un corso di regia e sceneggiatura che prevede il coinvolgimento di ragazzi, studenti di discipline umanistiche, cercando di avvicinarli al mondo delle immagini e al racconto cinematografico. Il film è il risultato di un percorso che abbiamo intrapreso da anni. È la terza volta che veniamo a Venezia con queste modalità e questo film è il risultato più importante, perché ha la dimensione del film vero fatto con dei ragazzi, con dei mezzi che sono propri dell’attività didattica. Importante è stato il supporto di alcune istituzioni locali dalla Sardegna Film Commission all’Istituto Superiore Regionale Etnografico, che svolge un lavoro molto importante nella cura e nello studio delle tradizioni. Un progetto come questo risultava quindi di grande interesse e il film è una combinazione di questi interessi e di queste arti disciplinari.
Sardegna Film Commission al decimo anno di vita.
Ne sono in qualche modo il testimone, perché la Sardegna Film Commission nel 2012 debuttava a Venezia con un mio film Bellas mariposas. Prima di allora c’era solo un piccolo sportello di informazioni che dava indicazioni su come raggiungere questa o quella location. In 10 anni è cresciuta moltissimo e oggi è una bellissima realtà che supporta realmente i progetti ed è un riferimento per tutti noi che operiamo nel cinema, anzi mi lasci fare una battuta, siamo perfino gelosi per come alla Sardegna Film Commission comincino ad interessarsi molto gli altri, quelli che vengono ‘dal continente’! Non si può negare che il lavoro svolto in questi anni sia davvero notevole e che con l’attività della Sardegna Film Commission siamo riusciti a vincere un isolamento che pesava su di noi. Noi non usiamo la nostra terra come fondale, non è un accessorio, dietro quasi sempre c’è una storia di persone che la hanno vissuta e questo credo che nei film che ho fatto io e i miei colleghi emerga.